7.5
- Band: BLASPHEMATORY
- Durata: 00:37:09
- Disponibile dal: 13/05/2022
- Etichetta:
- Nuclear Winter Records
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Ecco qui un disco che potrebbe davvero stuzzicare i fan di Funebrarum e Disma. Purtroppo da qualche tempo si sono quasi perse le tracce di queste due formazioni, entrambe seminali nel rilanciare e ridonare credibilità al suono old school death metal nel corso degli anni Duemila, ma la seconda fatica sulla lunga distanza dei Blasphematory ha, come accennato, tutte le carte in regola per sopperire alla ormai prolungata assenza di questi pesi massimi statunitensi. Tra l’altro, parliamo di una realtà esplicitamente legata a quel ‘giro’, dato che il batterista Chris Demydenko fa attualmente parte degli stessi Disma. A “The Lower Catabombs” basta poco per calarci nelle catacombe evocate dal titolo: le atmosfere e l’immaginario sono quelle di un luogo tenebroso, da esplorare lentamente, con il passaggio illuminato solo da una flebile candela. Il suono del gruppo del New Jersey si mantiene, come previsto, a cavallo tra la scuola statunitense più criptica – primi Incantation un riferimento scontato – e le sempre attuali ed efficaci velleità (death-)doom e atmosferiche della vecchia scena finlandese, con Demigod, Abhorrence e Purtenance a fare sentire regolarmente il proprio influsso. Uno stile tanto ruvido quanto solenne, insomma, in linea con il materiale presente su dischi fortunati come “The Sleep of Morbid Dreams” e “Towards the Megalith”, strutturato su una tracklist tutto sommato essenziale (sette tracce per trentasette minuti), dalla quale emergono sia episodi ricchi di strappi e di lunghe evoluzioni strumentali, sia brani maggiormente concisi, dove si assiste a un più effettivo avvicinamento alla forma-canzone. È dunque un revivalismo competente e non fine a se stesso, quello dei Blasphematory, che, anche grazie a una resa sonora fumosa ed evocativa, pur totalmente lo-fi, rimane ben bilanciato nei volumi di composizioni che fanno susseguire quiete e tempesta alla maniera della migliore tradizione di questo particolare filone. Certe lunghe parti strumentali non impediscono altresì di far emergere dalla scrittura del terzetto anche un evidente talento melodico: tracce votate a una sorta di epicità oscura come “The Corruption of Saints” e la title-track, infatti, mostrano nitidamente una valida versatilità di idee e di esecuzione, elementi che non possono che far ben sperare per il proseguo di una carriera ad oggi definibile come già ottimamente avviata.