8.0
- Band: BLASPHEMER
- Durata: 00:42:32
- Disponibile dal: 24/01/2020
- Etichetta:
- Candlelight
- Distributore: Universal
Ricordate i Blasphemer di “On the Inexistence of God” e “Devouring Deception”? Apprezzatissimi esempi di ‘brutal’ death metal a stelle e strisce che una dozzina di anni fa, insieme alle prime opere di Septycal Gorge, Hour of Penance e Fleshgod Apocalypse, contribuirono a rilanciare la scena estrema del nostro paese? Se la risposta è sì, allora dimenticateli in fretta e furia, perché siamo nel 2020 e questa band è cambiata parecchio da allora, sia in termini di line-up che – soprattutto – di offerta musicale.
L’amore per il metallo della morte di Simone Brigo e Clod ‘The Ripper’ Rosa, la capacità di declinarlo in forma impattante e catchy nonostante la ferocia di fondo, sono rimasti al loro posto, ma questi elementi vengono oggi filtrati attraverso la lente di un approccio 100% vecchia scuola e di inedite sbandate in territori black metal, per un risultato finale mai così avvincente e variegato. Arruolati i giovani Nicolò Brambilla alla chitarra (Ekpyrosis) e Davide Cazziol alla batteria (ex Helion), i Nostri si gettano in un groviglio di sonorità novantiane coltivato con grande cura e criterio, pagando pegno alla stagione d’oro del genere e ai suoi interpreti leggendari senza per questo risultare anacronistici o forzatamente rétro.
Deicide, Morbid Angel e Sinister (o Dead Congregation, volendo citare un gruppo più recente) sono quindi i primi termini di paragone di “The Sixth Hour”, opera che porta a termine il restyling avviato dal precedente “Ritual Theophagy” in un’escalation dai toni barbari e diabolici, allentando e irrigidendo la tensione secondo un gusto sopraffino e un’assoluta padronanza delle dinamiche del songwriting. In effetti, si potrebbe pensare ai dodici episodi della tracklist come a percorsi sonori che – partendo da basi piane – finiscono per arrampicarsi su pareti più ripide e frastagliate, all’insegna di una tecnica messa sempre al servizio della narrazione e lungi dallo scadere nell’onanismo di molti act contemporanei. Proprio come su un “Covenant”, un “Hate” o un “Once Upon the Cross”, ogni brano presenta almeno un riff o una melodia che si imprime a fuoco nella memoria, con esiti che fanno subito pensare al bagaglio old school della formazione lombarda, tra parentesi spaventosamente orecchiabili, digressioni infernali e affondi nel caos organizzato di marca Trey Azagthoth.
Tre quarti d’ora di musica che, dalla hit istantanea “Hail, King of the Jews!” all’epica “I.N.R.I.”, passando per l’omaggio a “Desolate Ways” di “Blessed Are the Wombs That Never Bore”, ci riconsegnano dei Blasphemer all’apice dell’ispirazione e della maturità stilistica, oltre che sancire il primo grande disco death metal dell’anno.