6.5
- Band: BLAZING ETERNITY
- Durata: 00:46:10
- Disponibile dal: 19/04/2024
- Etichetta:
- Mighty Music
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Il nome Blazing Eternity potrebbe essere familiare a quegli ascoltatori già un filo attempati, che tra i tardi anni Novanta e i primi Duemila seguivano con interesse il sottobosco death-doom e gothic metal europeo. Il gruppo danese, dopo una manciata di demo, rilasciò un paio di full-length fra il 2000 e il 2003, accostandosi prima a un suono ruvido e al contempo malinconico di estrazione Katatonia/primi Opeth e poi a sonorità maggiormente rock e ariose, seguendo appunto le orme della band di Jonas Renkse o le evoluzioni degli Anathema di quel periodo. Dopo letteralmente vent’anni di assenza dalle scene, la formazione di Copenhagen torna oggi con un terzo album che riprende la componente metal degli esordi, mescolandola con un approccio comunque abbastanza lineare alla composizione, che si traduce in un lotto di midtempo dallo sviluppo chiaro e coerente (forse persino troppo). Il ritorno del growling non incide più di tanto sul mood dei pezzi in termini di aggressività, con i vari episodi che restano quasi sempre ancorati a un’aura mesta e avvolgente che alla fine permea l’intero album.
La band tende a concentrarsi parecchio su queste trame malinconiche, facendo ampio utilizzo del classico riffing a cascata tipico dei Katatonia di metà carriera o dei finlandesi Rapture/Counting Hours, esplorando anche nei testi temi di alienazione, solitudine e disperazione.
L’incantesimo sembra tuttavia rompersi in qualche passaggio: pur riconoscendo una certa eleganza di fondo, il tono dell’album sembra a volte calare, per via di alcuni brani dove è fortissima la sensazione di ripetizione o di cliché senza una propria anima; ogni tanto, in questi episodi dalle cadenze molto simili, pare mancare un vero cambio di passo, oltre a dei guizzi melodici in grado di staccarsi dalle formule già ampiamente esplorate dai maestri del genere.
“The Secrets Of White” riesce a colpire con la sua puntuale alternanza di pieni e vuoti, la title-track lascia il segno per un finale lucente e particolarmente evocativo, mentre “No Bringer of Light”, al di là della voce urlata, fa emergere curiosamente anche qualcosa dei primi Klimt 1918, a livello di atmosfere. Da segnalare poi “Your Mountains Will Drown Again”, il quale sposta più che mai le trame su registri cari ai recenti Counting Hours.
Nel suo insieme, il disco si lascia quindi ascoltare abbastanza volentieri, presentandoci una band che di certo può vantare una certa competenza, anche dopo due decenni di completa inattività.
In questo viaggio fra nostalgia e dolore, ogni tanto si sente tuttavia la mancanza di qualche lampo, di un pizzico di irregolarità che possa donare maggiore brio e personalità alla proposta. Le canzoni tendono ad assomigliarsi un po’ troppo le une alle altre, lasciando un vago senso di limitatezza ad ascolto completato. Detto ciò, coloro che stravedono per questa corrente, assieme a chi si ricorda dei primi lavori dei danesi, farebbero comunque bene a dar loro un’opportunità.