7.0
- Band: BLEED FROM WITHIN
- Durata: 00:47:51
- Disponibile dal: 03/06/2022
- Etichetta:
- Nuclear Blast
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Terzo album in cinque fertili anni per i Bleed From Within: dar seguito a “Fracture” (2020) non era facile visto il generale successo di pubblico e critica, e arrivare a fine pandemia senza averlo celebrato sufficientemente dal vivo sembra quasi un crimine. Fermarsi però non è un’opzione percorribile per un quintetto tanto affamato e desideroso di emergere. Non avendo più nulla da dimostrare nei ranghi metalcore e non riuscendo a levarsi dalle scatole l’immortale leva di Killswitch Engage, As I Lay Dying e compagnia, i Bleed From Within tentano la “carta Parkway Drive”: ecco quindi che con “Shrine” la band allarga i propri orizzonti, mantenendo il proprio trademark sonoro ma suonando molto più grande, più roboante e più tendente al mainstream. Leva principale per questo passaggio sono i passaggi melodici della voce di Scott Kennedy, orientata verso tonalità più basse e conseguentemente più forte e voluminosa, in tandem con gli extra di corde, tastiere e spoken-word che hanno fatto di “Era” il punto di svolta dei Parkway Drive. Ecco quindi che dopo il groove dei riff à la Korn dell’opener “I Am Damnation”, la situazione si fa grossa, e gli scozzesi sfoderano prima un pezzo di enorme presa e una sicura hit nei live come “Sovereign”, per proseguire con la rivoluzionaria “Levitate” e “Flesh And Stone”, che con i loro ritornelli enormi contribuiscono a ridisegnare il volto dei Bleed From Within. Da “Invisible Enemy” il tiro rimane alto, ma non si raggiunge la stessa carica e la stessa ispirazione, ripercorrendo l’imprinting delineato nei primi brani ma faticando a trovare la hit: se infatti i PWD hanno evoluto per primi il proprio sound in queste direzioni, c’è da dire che le loro soluzioni sono sempre state efficaci e i brani sono rimasti costantemente esaltanti; la band di Glasgow, invece, pur formalmente ‘tirata a lucido’, ha risultati alterni – per esempio troviamo “Death Defined”, “Temple Of Lunacy” e “Killing Time” un po’ generiche, con altri brani piacevoli ma semplicemente inferiori alle bordate in cima alla tracklist. Per fortuna, anche nella seconda metà del disco ci sono brani spezzacollo come “Shapeshifter”, che spazza via dal tavolo ogni questione sull’ammorbidimento, e una degna conclusione come “Paradise”, col suo maestoso pianoforte e il groove massiccio.
Se amate la progressione stilistica di Parkway Drive ed Architects, potrete apprezzare “Shrine”, un disco che vuole aprire nuove dimensioni per la band britannica e che siamo sicuri verrà celebrato in maniera maiuscola nelle scatenate performance live della formazione.