8.5
- Band: BLOOD INCANTATION
- Durata: 00:36:20
- Disponibile dal: 22/11/2019
- Etichetta:
- Century Media Records
- Distributore: Sony
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La prima volta che ci siamo occupati dei Blood Incantation è stata circa un lustro fa, quando giunse in redazione il loro primo EP “Interdimensional Extinction”. Da allora è passata diversa acqua sotto i ponti: un eccellente debut album, “Starspawn”, e una serie di esibizioni dal vivo che li hanno visti raccogliere consensi clamorosi sia in Europa che oltreoceano, consacrando la band come una delle realtà più interessanti della attuale scena death metal. Non sorprende quindi che attorno all’uscita di questo nuovo “Hidden History of the Human Race” vi siano aspettative enormi, amplificate ulteriormente dalle belle parole che mostri sacri come Morbid Angel e Immolation hanno recentemente speso a favore del gruppo e dall’accordo con la potente Century Media Records, che si occuperà della distribuzione del disco in Europa.
I ragazzi statunitensi, in ogni caso, si fanno trovare assolutamente pronti per questo importante appuntamento. Se “Starspawn” si era fatto segnalare come un lavoro tecnicamente e stilisticamente ineccepibile, “Hidden…” conferma l’assoluta destrezza dei Blood Incantation nel confezionare composizioni in grado di rinverdire nel migliore dei modi le caleidoscopiche emozioni custodite nel prestigioso archivio della storia del death metal più virtuoso ed espansivo.
Le sonorità delle quattro tracce palesano le multiformi ispirazioni della band, rivelando sia i connotati tipici delle fondamenta del genere, sia quelli del techno/progressive death metal di prima generazione: una infinita sequenza di riff e assoli di chitarra in grande spolvero costituiscono l’elemento fondamentale del disco, su cui agilmente si incastona un growling pungente ma mai eccessivo. L’influenza dei migliori Morbid Angel non passa inosservata (e come potrebbe essere diversamente davanti all’incipit dell’iniziale “Slaves Species of the Gods”?) e per i cultori del genere non sarà difficile assaporare echi di Demilich, Timeghoul, Nocturnus e dei Death post-“Human”. Le velleità musicali del quartetto tuttavia si guardano bene dal colorarsi soltanto di revival: le qualità del gruppo infatti si amplificano ed esaltano nelle trame di un sapiente mosaico musicale sospeso tra verve death metal e aperture di marcato stampo prog e psichedelico.
Rispetto a “Starspawn” l’album presenta inoltre alcune significative novità: innanzitutto la produzione è più chiara e ciò va a vantaggio sia dell’impatto dei riff, sia della sublimazione della componente melodico-psichedelica, la quale qui appare decisamente più raffinata; gli arrangiamenti e il generale approccio alla composizione e all’esecuzione risultano infine ancora più liberi: si ascoltino a tal proposito tracce come “The Giza Power Plant” o la lunghissima “Awakening from the Dream of Existence to the Multidimensional Nature of Our Reality (Mirror of the Soul)” – inframezzate dal toccante episodio semi-strumentale “Inner Paths (To Outer Space)” – nelle quali il sincopato lavoro delle due chitarre dà vita ad intrecci e armonie sempre più arzigogolati, sfumando in un’aura di misticismo che si ricollega all’immagine e ai colori della copertina.
Il pregio principale di “Hidden…” resta in ogni caso l’abilità dei ragazzi del Colorado nel concepire brani tanto ricchi di umori e registri diversi – in un continuo gioco di spiazzamenti progressivi, con interventi improvvisi e inaspettati di nuovi riff, assoli, cambi di melodie, slittamenti del ritmo che rimettono tutto in discussione – quanto fluidi e sostanzialmente immediati già dai primi ascolti. La tracklist scorre infatti spedita, seguendo un intenso fil-rouge emozionale che presenta di continuo parti subito accattivanti e di facile presa. Pur essendo evidentemente un album frutto di un grande lavoro di ricerca e di studio, per chi ascolta la sensazione non è insomma mai quella di essere alle prese con un prodotto forzatamente astruso.
La proposta dei Blood Incantation trova nel grande valore dei riff e nei suoi suggestivi percorsi narrativi una propria genuina personalità e raffinatezza, una fonte di passione e spontaneo coinvolgimento emotivo che permettono di relegare in secondo piano certi richiami stilistici che potrebbero venire loro affibbiati più o meno a ragione veduta. Paul Riedl e compagni, in sintesi, non hanno la pretesa di stravolgere o inventare un genere: ciò per cui si distinguono è essenzialmente il loro gusto e talento nell’architettare un canovaccio narrativo il cui pathos risulta superiore a quello di moltissimi altri interpreti. Che poi sia il 2019 o il 1993, poco importa, se è l’arte del riff a vincere.