7.0
- Band: BLOOD RED THRONE
- Durata: 00:42:29
- Disponibile dal: 26/01/2024
- Etichetta:
- Soulseller Records
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Qualcosa sembra sempre cambiare attorno o in seno ai Blood Red Throne – casa discografica, più di qualche membro della formazione… – eppure il suono della death metal band norvegese resta immutato, con pochi ma sempre decisivi ingredienti fieramente riconfermati a ogni appuntamento. Del resto, il songwriting del gruppo è da sempre per lo più in mano al chitarrista Død, unico membro fisso di una line-up che ha appunto attraversato innumerevoli stravolgimenti dal 1998 a oggi.
Il nuovo “Nonagon” è addirittura l’undicesimo full-length della band, un’opera che segue una cifra stilistica ormai consolidata, fondata su un death metal che cerca di alternare continuamente passaggi più tecnici, talvolta anche carichi di armonia ed eleganza, e bordate groovy super ignoranti, basate su riff molto semplici che provano ad entrare subito in testa. Come accennato in occasioni delle ‘puntate’ più recenti, sta diventando abbastanza difficile trovare elementi di novità e spunti veramente esaltanti nelle nuove produzioni dei Blood Red Throne: sia a livello stilistico che di resa sonora, le varie prove tendono ormai ad assomigliarsi parecchio e a sfumare le une nelle altre, tanto che alla lunga ciò che resta davvero in mente sono solo ed esclusivamente la solidità della formula e l’invidiabile coerenza alla base di quest’ultima.
In ogni caso, se preso singolarmente, anche “Nonagon” è lungi dal risultare un brutto disco: il brio e l’ingegno di un album come “Altered Genesis” – volendo citare quello che a oggi capeggia ancora in cima ai nostri ascolti – sono ancora una volta di un altro pianeta, ma i norvegesi restano un gruppo di gente esperta, che sa sempre trovare qualche modo per non ridurre tutto a mero epigono o vuoto esercizio di stile. Anche in quest’occasione, la musica che ascoltiamo sa essere gradevole, con alcuni episodi di notevole livello che sanno andare oltre il cosiddetto pilota automatico – come potrebbe magari lasciar pensare un ascolto molto superficiale dei brani – e che riescono anzi a risolversi su un equilibrio convincente fra estetica e sostanza.
“Ode To The Obscene”, “Tempest Sculptor” e “Blade Eulogy”, ad esempio, riassumono perfettamente lo stile Blood Red Throne dell’ultimo decennio abbondante, offrendo una piacevole sequenza in vari atti, alternando riff portanti di scuola anni Novanta (i soliti primi Gorguts o Pestilence), assoli molto curati e breakdown cafonissimi. Nel finale, si fa poi segnalare la più lunga “Fleshrend”, che, fra vari cambi di registro, riesce anche a proporre una bella sfuriata in doppia cassa in odore di primi Death. Da sempre, è soprattutto questa varietà all’interno delle composizioni l’elemento capace di mantenere viva l’attenzione e di conferire una profondità stilistica ed emotiva alla musica del gruppo.
Con appunto undici album nel repertorio, sarebbe forse ingiusto pretendere che l’ispirazione resti sempre sopra la media: come avviene ormai ad ogni appuntamento, qualche pezzo passa senza lasciare grandi tracce di sé, tuttavia nel suo insieme il lavoro sa ben sfruttare certe dinamiche degli opposti e regalare qualche brano degno dei fasti di un tempo. Dunque, non un’opera per chi rifugge cliché e schemi fissi, ma i cosiddetti die-hard fan della band avranno modo di apprezzare più di qualcosa anche questa volta.