8.0
- Band: BLOOD YOUTH
- Durata: 00:47:34
- Disponibile dal: 01/10/2021
- Etichetta:
- Rude Records
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Gli inglesi hanno mantenuto una costanza qualitativa davvero invidiabile negli ultimi anni, sfornando ottimi lavori uno dietro l’altro, particolarmente con l‘ultimo “Starve” del 2019. Questo “Visions Of Another Hell” sarà, purtroppo, l’ultimo lavoro con Kaya Tarsus dietro il microfono, il quale ha già annunciato prima dell’uscita del disco il proprio allontanamento dal progetto. Il suddetto frontman è sempre stato uno dei punti di forza della band, grazie ad una espressività ed una versatilità vocale davvero di prim’ordine, che speriamo potranno essere corrisposte in futuro dal sostituto Harry Rule, precedentemente in forza ai God Complex. L’hardcore metallizzato dei nostri sembra trovare nuova linfa vitale in questo 2021, dopo le influenze crossover aggiunte nel recente passato, andando a creare una proposta poliedrica e consistente con davvero pochissimi cali di tensione. Questa nuova fatica dei ragazzi di Harrogate parte subito in quarta con “a-LTX”, midtempo freddo e disperato dove le atmosfere dei Deftones si fondono con le ritmiche degli Architects, andando a preparare il terreno per la successiva “Iron Lung”, vera sberla in pieno viso a tutto groove, urla e riffoni, coadiuvata da un ritornello sornione. “Something To Numb The Pain” è un omaggio agli Slipknot di Iowa, ed è un perfetto esempio del valore musicale della band, così come la seguente “Cells”, dal sapore squisitamente industrial, più atmosferica e ragionata nel suo sviluppo. Continuiamo a sentire le influenze ‘slipknotiane’ in “Body Of Wire”, pezzo a tutto muscoli con un ottimo ritornello, che grazie alla sua immediatezza si guadagna la palma di singolo più hot del lotto, mentre con “Colony3” abbiamo influenze più thrash/groove ma sempre la stessa irresistibile facilità di fruizione. “Open Window” mostra il lato più morbido e intimista della band, prima di tornare a colpire duro con “Synthetic”. “Human Blur” ha la sua forza nel breakdown centrale e nel gustosissimo ritornello, mentre il binomio finale “Kept In A Box” e “Dogma” ci fanno rifiatare creando una sommessa atmosfera industrial fatta di spoken words, synth, accelerazioni improvvise e rallentamenti, chiudendo il sipario su quello che è probabilmente il miglior lavoro dei Blood Youth ad oggi.
I ragazzi si confermano ancora una volta come una delle band più interessanti della scena britannica contemporanea, essendo capaci di creare una proposta caleidoscopica ma mai confusionaria. Speriamo che la dipartita del frontman non abbia troppe conseguenze sul futuro della band, perché sarebbe davvero un peccato perdere una realtà così promettente.