7.0
- Band: BLOODBATH
- Durata: 00:41:07
- Disponibile dal: 26/10/2018
- Etichetta:
- Peaceville
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
Apple Music:
In un anarchico rifiuto di procedere lungo le direttive più ordinarie e remunerativamente convenienti, i Bloodbath negli ultimi anni hanno scelto vie traverse e ci hanno fornito a loro modo un’interessante rilettura del death metal più rozzo e primordiale. Discografia alla mano, si può inquadrare un primo periodo in cui il loro abnorme potenziale compositivo e strumentale ha regalato un death metal sì profondamente radicato nella cosiddetta vecchia scuola, ma sempre disciplinato e ricco di finezze; l’ultimo “Grand Morbid Funeral” ha invece inaugurato una fase di totale rifiuto di ogni forma di eleganza, ostentando un sound primitivo, distorto, nervoso, sempre in grado di disegnare scenari cupi ed emotivamente carichi di pathos caotico. Il nuovo “The Arrow of Satan Is Drawn” giunge a quattro anni di distanza da quel disco e senza indugio ribadisce il concetto, spingendo ulteriormente verso sonorità spoglie e slabbrate, a tratti persino velate di un’ironia sorniona e maliziosa. Il gruppo accoglie Joakim Karlsson (dei black metaller Craft) al fianco di Anders “Blakkheim” Nyström per mantenere lo schieramento a due chitarre e tiene saldo ”Old” Nick Holmes là davanti a vomitare sulle prime file; il risultato è un album ancora più sgarbato di “Grand Morbid Funeral”, dove le strutture puntano sulla semplicità, l’approccio all’esecuzione flirta con il punk, la tensione elettrica è sempre al massimo e il volume pompatissimo. Al tempo stesso, come dimostra subito l’opener “Fleischmann”, la vena melodica è divenuta ancora più sinistra, plausibile conseguenza dell’interazione fra il nuovo arrivato Karlsson e il leader Nyström, musicista, quest’ultimo, certo non nuovo a influssi black metal, come dimostra il vecchio progetto Diabolical Masquerade.
La tracklist si snoda attraverso dieci episodi, tra scorribande death-black’n’roll che, pur orecchiabili nella loro circolarità, alla lunga non lasciano significative tracce, e dei momenti cadenzati che, ancora una volta – ricordando la clamorosa title track dell’ultimo album – riescono particolarmente bene al gruppo, abilissimo nell’architettare un incedere a tratti duro e possente, a tratti macabro e sospeso nell’incubo.
Nel complesso, “The Arrow…” è un album in cui è difficile trovare grossi difetti, tuttavia la discografia della band si sta facendo ormai fitta e, di conseguenza, l’effetto sorpresa e la spinta creativa alla base di un’opera come questa – considerabile anche di transizione, visto l’ingresso di Karlsson – non possono che risentirne, almeno un minimo. E’ indubbio che il disco sia solido, a maggior ragione quando ci si imbatte in ottimi pezzi come la suddetta opener, “Levitator” o “Only The Dead Survive”, alfieri di una densità emotiva incisa di getto e senza troppi indugi, ma “Grand Morbid Funeral” e varie opere precedenti possedevano un quid in più, in termini di ispirazione e di spontaneità. Dopo tutto, anche la migliore motosega sulla piazza necessita di essere oliata ogni tanto.