5.0
- Band: BLOODBOUND
- Durata: 00:56:30
- Disponibile dal: 25/05/2007
- Etichetta:
- Metal Heaven
- Distributore: Frontiers
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I giovani Bloodbound si ripresentano sul mercato a due anni di distanza dal precedente “Nosferatu”. La prima cosa che balza all’occhio (e, ovviamente, all’orecchio), è l’inserimento in pianta stabile dell’esperto singer Michael Bormann, che nel suo passato vanta collaborazioni con Jaded Heart e Bonfire tra gli altri. A differenza del primo album, in questo “Book Of The Dead” le partiture maideniane sono drasticamente calate, lasciando spazio a tracce che ricordano da vicino gli ultimi Hammerfall e Axel Rudi Pell. La somiglianza con la band del biondocrinito guitarist è dovuta più che altro alla voce del singer, che spesso e volentieri ricorda le timbriche dei cantanti che hanno collaborato con Axel, Johnny Gioeli su tutti. Sfortunatamente per i ragazzi, le uniche due cose in comune con il disco precedente sembrano essere il look darkeggiante e la mediocrità del songwriting. Già non è piacevole essere considerati delle copie degli Hammerfall (la clone-band di maggior successo degli ultimi anni), ma quando si sfiora il plagio come nella ballad “Black Heart”, ci si rende conto che qualcosa di sbagliato in effetti c’è. Molto meglio allora citare ancora i Maiden, come avviene in maniera evidentissima nella conclusiva “Seven Angels”, una cavalcata che unisce la band di Harris ai Virgin Steele per un risultato finale che soddisfa, nonostante la pochissima originalità. La band dei fratelli Olsson in sostanza deve ancora crescere e maturare, e non può poggiare i pochi momenti buoni sulle spalle del solo Bormann che, pur essendo un singer extraordinaire, non può reggere il peso di un songwriting fallace e poco originale. Rimandati.