BLOODLET – Entheogen

Pubblicato il 11/05/2024 da
voto
8.5
  • Band: BLOODLET
  • Durata: 00:48:22
  • Disponibile dal: 15/03/1996
  • Etichetta:
  • Victory Records

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I am not your Christ, I do not bleed for you”.

Se è vero che, nel mondo della musica pesante, il binomio Florida/anni Novanta viene ricondotto anzitutto alla scena death metal di Tampa, con band del calibro di Obituary, Morbid Angel e Deicide a definire le coordinate di un’epoca entrata nell’immaginario collettivo di migliaia di ascoltatori, trascurare l’apporto dello stato americano alla causa hardcore di quel periodo significherebbe perdersi un sottobosco di nomi non meno fitto e rigoglioso, in grado con i suoi exploit di lasciare un segno tangibile nel genere e in quello che di lì a poco avrebbe assunto la definizione comune di metalcore.
A questo proposito, potremmo citare in ordine sparso Strongarm, Shai Hulud (già ospiti di questa rubrica con il clamoroso “That Within Blood Ill-Tempered”), Poison the Well, Morning Again, Brethren… e Bloodlet, per l’appunto, quartetto di Orlando inquadrabile sotto più punti di vista come un’aberrazione all’interno di un panorama spesso accomunato a tematiche straight edge, sociali e di riscatto (quando non addirittura cristiane). In pratica, l’esatto opposto di ciò che, fin dai primissimi vagiti sotto forma di demo tape e sette pollici, ha caratterizzato la poetica artistica dei Nostri, immersa in uno scenario di disagio e negatività del tutto accomunabile a quella di certo metal estremo, e che non a caso, col tempo, le è valsa l’etichetta di ‘evilcore’.
Un suono che, tenendo a mente l’habitat di questa regione subtropicale, con il suo caldo torrido e le sue distese di acquitrini, sembra effettivamente ergersi dalla melma, dal rancido, dallo sporco, manifestandosi ai sensi come un flusso a dir poco opprimente e intento a ricercare nel midtempo la via espressiva del proprio odio.
Le peculiarità del progetto, che subito gli permisero di distinguersi fra la massa e di strappare un contratto alla Victory Records, la quale licenziò “Entheogen” nel marzo del 1996, vanno infatti rintracciate nell’oscurità delle atmosfere e nella pesantezza schiacciasassi delle ritmiche, restie a sposare tempi movimentati in favore di un incedere lento e fangoso di chiarissima derivazione sludge e death/doom, con le visioni intossicanti di Eyehategod e Buzzoven (da un lato) e quelle putrefatte degli autori di “Cause of Death” (dall’altro) a fondersi all’hardcore metallizzato alla base della proposta.
Se colleghi tutt’altro che raccomandabili come gli Integrity di Dwid Helion o i Ringworm di James “Human Furnace” Bulloch andavano a contaminare/deturpare le loro radici hardcore punk con derive slayeriane, il gruppo composto da Scott Angelacos (voce), Matt Easley (chitarra), Charlie King (batteria) e Art Legere (basso) volgeva insomma lo sguardo a mondi sonori ancora più abominevoli e nefasti, imbastendo una narrazione in cui ogni elemento, dal latrato del frontman ai riff ultra-ribassati della sei corde, passando per il groove mostruoso e tribale della sezione ritmica, sa ancora oggi di degrado corporeo e spirituale; un cantico di poco meno di cinquanta minuti di durata per white thrash destinati a girovagare per i sobborghi asfissianti del Sud degli Stati Uniti, fra siringhe, rancore e alcol.
Va da sé che il fascino di un’opera come questa risieda in primis nel clima di tensione espresso dal songwriting e nella gravosità delle strutture, piuttosto che nei cambi di passo durante l’ascolto, ma una volta appurato l’andamento da caterpillar di buona parte della tracklist, tutt’ora influentissimo per un certo tipo di hardcore/metal (basti pensare agli Xibalba), sarebbe approssimativo liquidare i Bloodlet come dei fabbri privi di sensibilità atmosferica. Vuoi per la provenienza geografica, vuoi per la lezione appresa dai suddetti maestri dello sludge, già durante l’opener “Brainchild” ci si imbatte in un break fumoso, narcolettico e simil blues che spinge il discorso della formazione oltre i lidi del metalcore dei primordi, segno di un approccio alla scrittura non necessariamente brutale e percussivo, ma è con la colossale “The Triumph” e la sua digressione a base di rintocchi acustici e pennellate ottenebranti che l’ambizione e la personalità del progetto vengono definitivamente alla luce (si fa per dire…), trascinando l’ascoltatore in una palude infernale dove la calma è solo apparente e il male comunque in agguato.
In sostanza, parliamo di uno dei segreti più destabilizzanti custoditi dal movimento hardcore a stelle e strisce, alla pari di un “Those Who Fear Tomorrow” o di un “Heretic”; un album nichilista come pochi altri all’interno del filone, incipit di una carriera proseguita tra full-length (incluso il notevole “The Seraphim Fall” del 1998), EP (il non più recentissimo “Viper in Hand” del 2020) e sporadiche apparizioni live sul suolo statunitense, sempre nel segno dell’autodistruzione più nera. In tempi di sonorità metal/death-core spesso innocue e di plastica, lasciate che questo monolite vi schiacci.

TRACKLIST

  1. Brainchild
  2. Something Wicked
  3. Annulment
  4. One And Only
  5. Shell
  6. CPAI-75
  7. The Triumph
  8. Eucharist
  9. 95
  10. CPAI-76
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