7.0
- Band: BLOODSHOT DAWN
- Durata: 00:52:00
- Disponibile dal: 26/01/2012
Spotify:
Apple Music:
Giunge dalla terra d’Albione, nelle severe mani di Metalitalia.com, questo debutto autoprodotto ad opera dei melodic deathster Bloodshot Dawn, orgogliosi detentori di una più che discreta fama in ambito underground. I cinque inglesi ci propongono un death metal pregno di tecnica, dinamismo ed impatto metallico, laddove sono le chitarre ad aprire spazi melodici e finestre dalla quali fare entrare aria fresca, in quell’angusta camera dove la puzza di death metal impregna i nostri polmoni affamati di putrescente violenza sonora. Clean vocals assolutamente bannate da questo album, dove finalmente possiamo evitare fastidiosissimi ed ultra-sfruttati ritornelli pop, ascoltandoci con piacere una proposta estrema sì melodica, ma epurata da ogni appeal adolescenziale. Uno stile compositivo associabile a quello degli statunitensi Arsis, in cui perizia tecnica, aggressione sonica ed immediata riconoscibilità delle tracce sono i punti di forza. Paradossalmente, i cinque hooligan musicali propongono un death molto più americano di quello dei “cugini” sopra-citati, i quali a loro volta sembrano maggiormente influenzati dal metal estremo europeo. Impostazione vocale esclusivamente orientata verso un discreto growl (mai eccessivamente profondo e gutturale), una batteria instancabile che raramente rallenta la propria corsa e due asce che tessono senza sosta intricate trame chitarristiche, sfociando spesso (quasi sempre) nel puro virtuosismo e shredding chitarristico. I pochi difetti sono ascrivibili alle troppe note musicali, in quanto la band indugia troppo in un atteggiamento quasi masturbatorio sui propri strumenti, alla continua ricerca dell’assolo perfetto, dell’armonizzazione impossibile ed al contempo “catchy” e vagamente ruffiana, spesso arrivando a mettere a dura prova i nostri padiglioni auricolari, letteralmente tempestati da una valanga di note davvero superflue. C’è anche un poco di Italia in questo comunque buon debutto: registrato a Roma presso i 16th Cellar Studios (Fleshgod Apocalypse, Hour Of Penance, Inherit Disease) e guidato dalle sapienti mani (ed orecchie) di Stefano Morabito, il lavoro gode di una produzione che valorizza il dinamismo musicale della band e le prestazioni dei singoli musicisti. Un disco sicuramente ben riuscito e che ci lascia ben sperare nel futuro di questo giovani metallari, i quali, forse sopraffatti dal comprensibile desiderio di voler mostrare tutto il loro potenziale, hanno messo troppa carne al fuoco, rischiando di non piacere abbastanza ai fan del death di stampo prog e, di essere comunque troppo tecnici e melodici per gli amanti del metal più marcio ed “ignorante” e di essere troppo pesanti per i fanatici dello shredding e del death-core. Una band comunque da tenere d’occhio con attenzione.