voto
6.5
6.5
- Band: BLOODWAY
- Durata: 00:43:06
- Disponibile dal: 25/09/2015
- Etichetta:
- I Voidhanger Records
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Artista. Una definizione sfuggente, labile, spesso abusata; eppure, talvolta, inevitabile. È questo il caso di Costin Chioreanu, un nome noto da anni a tutti gli amanti del metal più estremo, grazie alle sue creazioni visive divenute ormai marchi di fabbrica inseparabili dai contenuti musicali delle decine di album che ha illustrato. Più recente è la sua avventura come musicista con questi Bloodway, giunti al loro primo full-length dopo un apprezzabile EP. E proprio nell’ottica di un prodotto a tutto tondo è difficile separare, nell’ascolto di “Mapping The Moments With The Logic Of Dreams”, la componente ‘estetica’ da quella musicale, e persino discernere o sezionare i singoli brani rispetto a un unicum che funziona essenzialmente nell’ascolto complessivo e progressivo. Progressivo è la parola chiave, in effetti, sia per l’ascoltatore che per l’incedere dell’album: il taglio musicale è assolutamente avantgarde, sospeso in quel crepuscolo emozionale che spesso, negli ultimi anni, crea difficoltà nel definire un genere predominante. Su una matrice post-black si innestano movimenti sperimentali, con spruzzate notevoli di un certo teatro di avanguardia, se ci si passa il riferimento, particolarmente rilevabili nell’uso della voce come strumento narrativo e interpretativo: sussurri, gemiti, linee vocali prevalentemente strillate, il cui dolore si innesta straziante su un tappeto musicale sospeso tra due pilastri; il primo, una generale costruzione dei brani piuttosto vicina al gothic doom di vecchia scuola inglese, con chitarre corpose e un basso pulsante e molto in vista, il secondo rappresentato da un gusto più classico, vicino al prog rock, soprattutto nel lavoro alla batteria, ricca di fraseggi sui piatti, e nei frequenti crescendo. Incalzanti, violenti, come nel finale di “Early Glade Test Pilot”, brano decisamente rappresentativo dell’intero lavoro. C’è molta cura e molta sincerità, in questo album, pur con qualche limite nell’esito finale; qualche passaggio stimola più di un deja-vú, le atmosfere suadenti conquistano molto velocemente, ma i predominanti latrati vocali un po’ meno, sinceramente: la ricchezza del lavoro di tutti i musicisti, così come quello dietro al microfono, che tocca con naturalezza le sonorità di un flauto traverso in certi passaggi, lasciano comunque presagire che il loro opus è ancora in fase di sperimentazione, ben lontano dal cristallizzarsi in una sola direzione.