5.5
- Band: BLOODY MARY (FRA)
- Durata: 00:45:01
- Disponibile dal: //2009
Giunti al debutto con la presente autoproduzione “We Rock, You Suck!”, i rocker francesi Bloody Mary ci dimostrano come l’hard rock non sia solo appannaggio degli statunitensi. O almeno ci provano, con tanta determinazione, ma con risultati deludenti. I tre si presentano con dieci pezzi obiettivamente derivativi dalla scena statunitense, con Motley Crue, Warrant e compagnia cotonata a farla da padrone: niente di male, ci mancherebbe. Peccato che i risultati, qualitativamente parlando, lascino a desiderare. Si parte in sordina con “Mary Go Round”, paradossalmente il pezzo meno riuscito dell’album, tanto per gradire. Qui la voce del leader Bloody Toy (Che nome è? Lasciamo perdere, che è meglio!) arranca, come invece non succederà nella maggior parte dei capitoli successivi, ed il resto della band fatica ad imporsi, invischiata com’è in inutili riff triti e ritriti. Meglio la successiva “On My Own”, anche se ancora un po’ acerba nella composizione. Finalmente “Love Is Like Addictive” ci mostra il lato migliore dei Bloody Mary, con un riff a metà strada tra Motley ed Aerosmith, ed una buona costruzione melodica, perfettamente in linea con il sound di Los Angeles di fine anni ’80. Buona anche la cadenzata “This Time Tomorrow”, dove tuttavia ci rendiamo conto del vero limite di questo album: la produzione. Non è possibile ascoltare questo tipo di riff con questa distorsione così sintetica. Non ci è dato di sapere se si tratti di un problema di strumentazione o di mixaggio, fatto sta che i riff così facendo se ne rimangono lì nelle casse, buoni buoni senza far male ad una mosca. E quindi assistiamo ad un cantante solo, che fatica per catturare la nostra attenzione, irrimediabilmente spezzata da una performance in sordina, in background. Siamo coscienti che si tratta di un debutto, di una autoproduzione, ma con una dichiarazione di intenti come quella espressa nel titolo dell’album, anche le aspettative si sono fatte più elevate. Complessivamente, a parte le succitate song, e la mosca bianca “Big City Lights”, qui dentro non c’è poi molto di cui innamorarsi.