7.5
- Band: BLOODYWOOD
- Durata: 00:47:30
- Disponibile dal: 18/02/2022
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Se negli anni ’90 band come i Rammstein o i Sepultura erano considerate ‘esotiche’, la sempre più crescente globalizzazione dovuta anche all’avvento di Internet ha portato nel terzo millennio ad allargare i confini, proiettando nel circuito mainstream improbabili lolite giapponesi, pattuglie di band dell’ex blocco sovietico capitanate da frontwomen cazzutissime e gruppi provenienti da angoli meno noti del pianeta (dalla Mongolia alla Nuova Zelanda) che si distinguono per gli elementi folkloristici. In questo filone si inseriscono a pieno titolo i Bloodywood, giovane band di Nuova Dehli partita nel 2016 come gruppo-parodia su Youtube (il monicker stesso è un evidente storpiatura di Bollywood) e capace di farsi strada a suon di visualizzazioni fino a conquistare il palco del Wacken nel 2019 senza ancora un disco alle spalle. Quel disco, autoprodotto dal chitarrista Karan Katiyar, è finalmente arrivato e si intitola “Rakshak” (‘guardiano’, in lingua madre), dieci pezzi originali (di cui quattro ri-registrati per l’occasione) che segnano il battesimo nel Gange del mainstream per l’India (pur sempre la seconda nazione più popolosa del mondo!). Per chi avesse scarsa familiarità con la proposta dei Bloodywood suggeriamo di partire dai prime due singoli “Gaddaar” e “Aaj”: un mix tra la potenza degli ultimi Parkway Drive, la cazzimma tamarra dei Primer 55 e come ciliegina il flauto ipnotico quasi quanto quello di Matt Mulholland (se non sapete chi è munitevi di tappi per le orecchie e cercatelo su Gooogle), una miscela talmente bizzarra che fa il giro lungo e finisce col diventare (in)credibile. Il trucco di mescolare elementi folk, elettronica un tanto al chilo e riffoni metalcore/nu-metal d’annata funziona a meraviglia anche nelle varie “Machi Bhasad”, “Dana Dan” o “Endurant”, spinte da una produzione potente nonostante la gestione autarchica e capaci di animare tanto i party casalinghi quanto il pogo sotto il palco del Bloodstock. Per dovere di cronaca va detto che quando abbassano il voltaggio puntando sull’aspetto emozionale (“Zanjeero Se”, “Yaad”) o sulla melodia tradizionale (“Jee Veerey”) il giochino mostra un po’ la corda – d’altronde non tutte le “In The End” escono col buco – ma le conclusive “BSDK.exe” e “Chakh Lee” compensano ampiamente con l’aggiunta al consueto canovaccio ‘”Hybrid Theory”+sitar’ di breakdown spezzacollo e finanche qualche passaggio simil-trap, giusto per ricordarci che siamo negli anni ’20. Tra i tanti imitatori dei Linkin Park che affollano la Nu Wave Of Nu Metal un posto d’onore spetta sicuramente ai Bloodywood, fieri portabandiera del Raj Against The Machine tra novità dall’antichità e modernità d’antiquariato.