7.5
- Band: BLUT AUS NORD
- Durata: 00:45:55
- Disponibile dal: 21/09/2012
- Etichetta:
- Debemur Morti
- Distributore: Masterpiece
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Vindsval, W.D. Feld e GhÖst chiudono la trilogia “777” in bellezza con questo “777 – Cosmophony” nuovo di zecca, che in maniera assolutamente pertinente e continuativa chiude il cerchio su una delle trilogie di album più interessanti in cui ci è capitato di imbatterci negli ultimi anni. “777 – Cosmophony” accosta definitivamente i Blut Aus Nord al mondo di Justin Broadrick, e ogni forma di ambiguità stilistica che finora accennava solo al parallelismo, con questo nuovo lavoro crolla definitivamente e mette il trio francese sulla stessa esatta bisettrice stilistica del musicista di Birmingham grazie al loro curioso blend di extreme metal, industrial e shoegaze, che con questo nuovo lavoro trova sublimazione totale e rende i Blut Aus Nord a tutti gli effetti la controparte black metal degli Jesu (che sarebbero in teoria quella doom-sludge). L’accostamento è impossibile non farlo, vista la montagna di riffoni ronzanti e soffocanti di cui il disco è imbastito, e la onnipresente componente melodica e sognante ai quali questi sono costantemente accostati. E come nel caso degli Jesu, anche qui si assiste ad un annegamento nella luce. Il colore bianco domina su tutto. La luce, appunto. La speranza e la delicatezza che questo album contiene è talmente opprimente che finisce per soffocare e schiacciare ogni cosa. Muri letteralmente titanici di rumore bianco prodotto dalle chitarre di Vindsval cadono a cascate continue su massicciate sterminate di drum machine cadenzatissime e linee vocali soavi e incredibilmente ammalianti. Il contrasto pesantezza/delicatezza è praticamente ciò che forma il DNA del lavoro, e in questo dualismo onnipresente, ma anche cangiante, le soluzioni che vengono proposte dal trio francese sono molteplici, incredibilmente eterogenee tra una traccia e l’altra e a tratti anche sorprendenti. “Epitome XIV” apre il disco in maniera ammaliante e seducente come un ballatone infernale e colossale che riprende perfettamente il discorso da dove lo aveva lasciato “777 – Desanctification”. Il pezzo è un apripista perfetto poiché lega i due mondi annullando praticamente il vuoto che necessariamente è dovuto esistere tra i due capitoli. Dopo qualche minuto datoci per riprendere il filo del discorso, il pezzo si trasforma in bulldozer di rumore bianco intento a proseguire l’evoluzione della trilogia lungo una strada tutta nuova, una strada che come vedremo porterà i Nostri sempre più lontani dal black metal e sempre più vicini ad un mondo dominato dalla melodia e dalle atmosfere. La successiva “Epitome XV” spiazza immediatamente e introduce il primo vero elemento di rottura del disco. La traccia è per metà una traccia dub, in pieno stile techno animal (rinforzando dunque il parallelismo con il mondo di Broadrick) con tanto di voce addirittura rappata accompagnata da dei soundscapes agghiaccianti. Il pezzo poi prosegue in un oblio di doppio pedale, voci corali di un sinistro agghiacciante e rumore soffocante, come se fossimo finiti in uno dei momenti più ariosi dei loro conterranei Deathspell Omega. Si prosegue con la post-rockeggiante “Epitome XVI” primo vero momento “alla Jesu” del disco. Le chitarrone incredibilmente sludgy e l’andazzo comatoso rendono a tutti gli effetti la canzone un brano sludge metal annegato nell’elettronica e nell’industrial più rarefatto. L’assenza quasi totale di voci, i soundscapes sempre più opprimenti e un finale adrenalinico in cui le ritmiche si lasciano andare ad una enorme cavalcata psichedelica rimandano direttamente al mondo dei Neurosis, dei Red Harvest, dei Godflesh e di tutto quell’industrial contaminato senza speranza dalla psichedelia e dal noise. “Epitome XVII” ripete il miracolo di “Epitome X” materializzando una ballata di shoegaze maledetto come non ne troverete mai da nussun’altra parte al mondo. Il riff centrale, perfetto, bilanciatissimo e tremendamente catchy, accompagnato da una linea vocale pressoché perfetta ha dato vita al miglior pezzo del disco. Un momento di vera sensibilità pop calato in uno scenario extreme metal con una delicatezza e un tatto imbattibile. Pezzo tremendo. Chiude la molto doomy “Epitome XVIII” che riprende direttamente il mood della opener, e dunque si appresta a chiudere il cerchio con lo stesso mood disperato e soffocante con il quale “Epitome I” su “Sects” aveva iniziato a tracciarlo. Insomma, pur a tratti ripetendosi e spesso girando ancora e ancora attorno agli stessi stilemi musicali, ci troviamo ancora una volta di fronte a una di quelle entità di metal sperimentale che ormai non segue più alcuna logica o regola se non quelle che essa stessa crea. I Blut Aus Nord hanno creato un mondo tutto loro, ermetico ed affascinante, di cui sono i sommi padroni e su cui regnano incontrastati. Poche band davvero possono affermare di aver raggiunto risultati simili. Semplicemente unici.