6.5
- Band: BLUT AUS NORD
- Durata: 00:33:43
- Disponibile dal: 28/10/2017
- Etichetta:
- Debemur Morti
- Distributore: Audioglobe
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Se si escludono gli episodi organici della trilogia “Memoria Vetusta”, il monicker Blut Aus Nord ha sempre significato avanguardia e contaminazione in salsa black metal. La ricerca di una sintesi tra l’aggressività data dall’impiego di formule tradizionali e gli stridori meccanici di certo industrial/ambient, nell’ottica di un percorso artistico dalle tonalità perennemente fosche e inquiete. Il dodicesimo full-length del trio francese, ormai stabilmente accasatosi presso la corte della Debemur Morti, non sfugge alla regola, anche se va detto che forse, per la prima volta in oltre un ventennio di carriera, dal suo songwriting trapelano un autocompiacimento e una pretenziosità che ne smorzano la proverbiale carica ieratica. Un’opera fortemente chiusa in se stessa e nell’immaginario esoterico plasmato da dischi come “The Work Which Transforms God” e “Odinist”, giocata su un flusso di sonorità freddissime che sembrano trascinare l’ascoltatore in un gorgo e con pochi sbalzi emotivi a segnare l’incedere della tracklist, la quale potrebbe persino essere vista come un’unica, straniante suite. Chitarre, clangori metallici e synth si mescolano così ad un sottofondo ritmico avvolgente e al consueto screaming filtrato di Vindsval, senza che però questa stratificazione porti a risultati eccelsi o memorabili. Vero che la band transalpina non ha mai fatto del dinamismo il proprio cavallo di battaglia, puntando molto sull’omogeneità delle atmosfere, ma in passato questa scelta stilistica poteva godere di dettagli (basti pensare agli influssi shoegaze dell’ottimo “777 – The Cosmosophy”) che in sede di giudizio facevano puntualmente la differenza. Oggi i Blut Aus Nord paiono vittime del loro stesso ermetismo, dando alle stampe un lavoro la cui immobilità risulta a più riprese stucchevole. Non sappiamo se ciò sia dovuto esclusivamente ad esigenze di concept o ad un effettivo appannamento creativo, ma ci auguriamo che questo “Deus Salutis Meæ” possa godere di seguiti migliori.