8.0
- Band: BLUT AUS NORD
- Durata: 00:48:56
- Disponibile dal: 20/09/2019
- Etichetta:
- Debemur Morti
- Distributore: Audioglobe
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Dopo dodici album e venticinque anni di carriera, i Blut Aus Nord stupiscono ancora. Il nuovo “Hallucinogen” possiede infatti tutte le caratteristiche dell’opera-spartiacque, di un salto nel vuoto corrispondente a quello sconfinato dello spazio, nell’ottica di un percorso stilistico oggi più che mai sinonimo di totale libertà artistica. Sette brani che cambiano drasticamente le carte in tavola rispetto a quanto offerto in precedenza, affrancandosi sia dal sound organico della trilogia “Memoria Vetusta” che, soprattutto, dal severo flusso di black metal e industrial/ambient di lavori come “The Work Which Transforms God”, “Odinist” o del più recente “Deus Salutis Meæ”.
Contando ormai sul pieno supporto della roccaforte Debemur Morti, W.D. Feld e Vindsval si dimostrano qui attenti conoscitori dei sentieri percorsi dal genere nell’ultimo decennio, distillando una formula che non può prescindere da una vena melodica abbagliante e da continui rimandi alle scuole shoegaze e space/post-rock, per una tracklist che si guarda comunque bene dallo scimmiottare i vari Alcest e Deafheaven o le innumerevoli realtà nate sulla scia di un “Sunbather”. Canzoni che partono senza sapere esattamente dove le condurrà il loro viaggio tra le stelle, cullate da riff celestiali verso uno sviluppo tutto da scoprire, in cui la personalità della formazione transalpina – seppur calata in uno scenario inedito – non esita neanche un secondo a manifestarsi. Un disco all’apparenza semplice, complici l’intensità delle melodie e lo spiccato senso armonico di ciascuna composizione, ma che con il progredire degli ascolti si rivela presto foriero di uno straordinario numero di dettagli e stratificazioni sonore, il cui vero significato rimane imperscrutabile secondo il tipico approccio elitario del duo.
Laddove i succitati colleghi ricorrono ai colori dell’arcobaleno per dare voce ai sentimenti più fragili dell’animo umano, i Blut Aus Nord sembrano immergersi in un bianco etereo che sa di abbandono e distacco assoluti, traslitterando le velleità meccaniche di marca Godflesh per cui sono diventati celebri in una grafia sì intelligibile, ma non per questo meno fredda o aliena. Un’odissea che, dalla cavalcata dell’opener “Nomos Nebuleam” al soffuso finale di “Cosma Procyiris”, ci rapisce e ci porta lassù, a mille anni luce da casa.