7.0
- Band: BOAL
- Durata: 00:35:38
- Disponibile dal: 09/08/2013
- Etichetta:
- Sevared Records
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E’ un album con curiose sfaccettature questo “Infinite Deprivation”, album di debutto dei deathster olandesi Boal: sin dall’intro vi sarà proposto un aspetto che, per tutto l’ascolto, ritornerà con una certa frequenza pur non varcando mai il classico confine del “dietro le quinte”…stiamo parlando di un senso di desolazione che, tra riff debitamente quadrati e assassini, riesce di quando in quando a generare pregevoli istanti di melodie eteree, illustrando precisamente il momento in cui “il mostro si ferma un istante a contemplare”. Insolito, dunque, che un disco death metal così brutale a partire dalle linee vocali possa annoverare tra i suoi cardini questo particolare stato d’animo, capace di aggiungere profondità a composizioni già di per sé complesse nella struttura, caratterizzate da repentini cambi di tempo e ritmiche spigolose. Un altro aspetto pregevole di “Infinite Deprivation” risiede in azzeccate dinamiche d’accelerazione, thrash nell’anima ma lontane da inefficaci ibridazioni, capaci di scongiurare quei momenti di stasi tipici di chi punta unicamente sulla brutalità; una presenza vocale ridotta all’indispensabile finisce poi per rendere il contesto generale particolarmente ordinato, impedendo alla musica di divenire sovrastata da un confuso pout-pourri di incessanti gorgoglii. Desunzione di carattere generale, a questo punto, è come il songwriting sia stato curato di pari passo alla dimensione tecnica, così che non esista una formula compositiva fissa, potendosi ascoltare pezzi lenti e quadrati come “Anxiety Collapse”, articolati in più organiche sezioni come la title-track o, semplicemente, delle fucilate ben confezionate come “Eradicate The Parasites”, tra gli episodi migliori. Il difetto più evidente sta nella registrazione un po’ approssimativa dei suoni, visto che le chitarre suonano decisamente “zanzarose” per il genere, mentre il volume del basso è troppo contenuto: un peccato, in nostra opinione, perché a ben ascoltare ci si accorge di come la prestazione di questo strumento potrebbe donare qualcosa in più alla profondità sonora del disco. Nel complesso, dunque, si ascolta una prima opera in qualche misura cangiante senza che la coerenza di fondo sia compromessa, capace di articolare canzoni godibili e definite nella personalità, per quanto non originalissime: consigliato a tutti gli appassionati.