8.0
- Band: BODY COUNT
- Durata: 00:41:00
- Disponibile dal: 31/03/2017
- Etichetta:
- Century Media Records
- Distributore: Sony
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Dopo aver creato una lineup stabile e aver testato quanto al mondo importasse dei Body Count, Ice-T ed Ernie C portano a termine uno dei lavori più memorabili della propria carriera. Concepito nel contesto delle presidenziali USA, quando l’ombra di Trump stava avanzando sulla nazione, “Bloodlust” incarna la tensione politica e razziale, la lucida disillusione e la genuina rabbia generata dall’ingiustizia. Che questo venga da un personaggio di alto profilo come l’OG, inventore del gangsta rap e precursore del rap metal, produttore e personalità del piccolo schermo, Ice-T non fa che concretizzare tutto quello in cui i Rage Against The Machine/Prophets Of Rage hanno recentemente fallito. Non c’è spazio per l’umorismo amaro del passato (“There Goes the Neighborhood” o “Momma’s Gotta Die Tonight”) e nemmeno per quello più leggero di “Manslaughter” (“Bitch In The Pit”, “Institutionalized”): tragicamente il clima non è troppo distante da quello del 1992 e l’Original Gangsta ritorna ‘Cop Killer’ ed astuto commentatore della realtà sociale. Con lo spirito collaborarivo del mondo hip hop i Body Count si avvalgono dei servizi di pesi massimi del mondo heavy per appesantire la prima parte dell’album, con Dave Mustaine sul solo di “Civil War”, Randall Blythe nella pesantissima “Walk With Me” (praticamente un pezzo dei Lamb Of God) e la vecchia conoscenza Max Cavalera nell’apocalittica “All Love Is Lost” (ricordate Ice col berretto dei Sepultura nei ’90?). Le ispirazioni alla genesi della band vengono suggellate ancora una volta, dopo “Institutionalized” dei Suicidal Tendencies, con un fedele cover di “Raining Blood”/”Post Mortem”, già virale alle prime esecuzioni in sala prove. Il meglio però arriva quando la band alza il cappuccio e sfoga i propri demoni: “Ski Mask Way”, “This Is Why We Ride”, “No Lives Matter” sono taglienti e scottanti episodi iniettati di veleno, che urlano urgente rivalsa sociale e demoliscono la retorica razzista. All’apice per chi scrive c’è la conclusiva “Black Hoodie”, il pezzo più veloce dell’album che unisce sferragliante hardcore, metal, colpi di pistola e la citazione di KRS-One nel picco perfetto del disco, urgente e urbana come se fosse uscita dal seminale “Judgement Night”. Non dimentichiamo che la carta di identità dei due signori in questione segna la prossimità ai sessanta: un exploit incredibile per intensità, attualità e rilevanza, che si piazza appena sotto al debutto del 1992 e celebra 25 anni di attivismo.