7.5
- Band: BODY COUNT
- Durata: 00:35:55
- Disponibile dal: 06/03/2020
- Etichetta:
- Century Media Records
- Distributore: Sony
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Tracy Lauren Marrow sarà ricordato come Ice-T, pioniere del gangsta rap e come interprete del detective Fin in 20 serie di “Law & Order – Unità vittime speciali”. ‘T’ ha però anche il merito di aver saltato le barriere di genere creando i Body Count, primo gruppo crossover metal afroamericano finito rapidamente nelle cronache per la controversa “Cop Killer”. Oggi l”Original Gangster’ ha da poco compiuto 62 anni (!) ma non ha intenzione di rallentare, andando infatti a chiudere quella sorta di trilogia iniziata con “Manslaughter” (2014) che ha riportato in pista i BC in maniera totalmente inattesa con ottimi risultati, tra l’altro.
Da sempre la forza del gruppo è stata l’attitudine, qualità che di sicuro non scade in “Carnivore” (titolo che nonostante le precedenti frecciatine ai vegetariani/vegani sottolinea l’indole predatoria della band), ma dal 2014 il gruppo di Ice ed Ernie C ha aggiunto buone proprietà di scrittura e un sound moderno. Il primo ascolto mette facilmente in luce le vulnerabilità della raccolta, rintracciabili nella formula ripetitiva dell’album: come i precedenti c’è una cover poco avventurosa (“Ace Of Spades”), un brano significativo di Ice T rifatto in versione moderna (“Colors 2020”) e una lista ben fornita di ospiti, che parrebbe andar oltre ai dichiarati Jamey Jasta, Amy Lee e Riley Gale con una lista di cameo (si parla di Jello Biafra, Dave Lombardo, Will Putney e molti altri) che potrebbero far percepire il lavoro come un po’ troppo collettivo. Nei giri successivi il disco però scorre davvero bene, grazie anche alla sua brevità, e ci accorgiamo che questa formula non stanca affatto. Con le cover/reprise infatti è difficile sbagliare, gli ospiti sono eccezionali (su tutti il vocalist dei Power Trip) e in generale l’aggressività di Ice T risuona sincera e credibile nelle sue vocals urlate e scandite, essendo fondata sugli attualissimi temi di razzismo, politica e abuso di potere. Musicalmente poi Ernie C. fa faville, tra ottimi groove e riff Slayer-core tra i migliori della discografia del gruppo (“Point The Finger”, “Bum-Rush” e “Thee Critical Breakdown”). C’è inoltre spazio anche per un lato inedito dei Body Count, quello vulnerabile mostrato in “When I’m Gone” con Amy Lee, una riflessione sulla morte dei propri cari ispirata dall’omicidio del rapper Nipsey Hussle, con un inusuale strato melodico ma sempre assolutamente cruda e vivida.
Con trent’anni di attività sulle spalle i Body Count sono ancora inclini alla reazione violenta e riescono a mantenere l’adrenalina in circolo a chi appartiene alla nuova e alla vecchia scuola. Finché poi ci sarà del marcio in questo mondo ed Ice T e Ernie C saranno fisicamente in grado di alzare le mani i Body Count avranno senso di esistere.