6.5
- Band: BOLOGNA VIOLENTA
- Durata: 00:31:37
- Disponibile dal: 24/02/2014
- Etichetta:
- WALLACE RECORDS
- Distributore: Audioglobe
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I più giovani non si ricorderanno della banda della “Uno Bianca”, forse un target di ascoltatori al quale non sembra fare particolarmente riferimento il nuovo album del polistrumentista bervista Nicola Manzan. La banda dei fratelli Savi fu un’organizzazione criminale particolarmente attiva in Emilia Romagna a cavallo tra gli ’80 e i ’90 ed il disco ne ripercorre le tappe più significative, dalla nascita al declino, passando attraverso una serie di date che possiamo definire storiche, date fatte di sangue, di agguati, di ricatti e altri innumerevoli atti criminali. Un viaggio attraverso la cronaca nera tutta tricolore, come sempre all’insegna di quel cyber metal sonico che avevamo avuto modo di apprezzare già con i precedenti lavori del musicista, e che qui trova nuovamente sfogo in una serie lunghissima ma allo stesso tempo fulminea di brani a “diario”, in pieno stile primi Napalm Death se non fosse per le date storiche poste come titolo di ogni episodio. Appunto, si ripercorre quanto è già stato detto senza aggiungere o sperimentare granchè, questo è il limite principale di un ascolto tutto sommato fluido e perfettamente in linea con il Manzan-pensiero: la mitragliata di pezzi viene scaricata addosso tramite il solito frullatore ipercompresso di grindcore e bordate elettroniche fuori controllo, una scarica impazzita di musica cinica e oltranzista, distante da ogni qualsivoglia logica di mercato anche grazie alla sua bizzarra devozione alle campionature di classica sparse qua e là nei trenta minuti scarsi. Niente sorprese e niente salti sulla sedia, ma una fila di pugni ben assestati che ci sbattono in faccia la realtà dei fatti e una storia non certo piacevole neppure da ascoltare, figurarsi da vivere. Bisogna aspettare le parentesi più introspettive per godere a pieno del talento compositivo di Manzan e per calarsi nel lato più tragico e più straziante del concept narrato, vedasi le varie “4 gennaio 1991” (solenne aria da sconfitta, di vergogna, di muto terrore) e “2 maggio 1991” (cavalcata d’archi tra tensione palpabile e il consumarsi dell’orrore), delle perle, le delicate sinfonie si mescolano a tutta l’umanità messa a nudo dal racconto in note. “Uno Bianca” fa emergere limiti e quesiti del talentuoso violinista tuttofare: troppo serioso nelle scrupolose, violentissime rincorse all’esplosiva formula electrocore, maturo e sapiente quando tramuta la propria creatura in colonna sonora narrativa. L’ideale sarebbe trovare un compromesso tra questi aspetti e l’ironia che caratterizza il personaggio nelle sue apparizioni live, anche perchè, per il momento, i quesiti sul dove e come voglia arrivare sono veramente molti. Anche così potrebbe avere il suo fascino, no?