7.5
- Band: BONDED
- Durata: 00:45:26
- Disponibile dal: 12/11/2021
- Etichetta:
- Century Media Records
- Distributore: Sony
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Vincere non è mai facile, ma ripetersi è ancora più complicato. Poco meno di due anni fa (era il gennaio del 2020), i Bonded rilasciavano il loro esordio ufficiale: “Rest In Violence”, un album compatto, di puro thrash, old-school sì ma non troppo, con la giusta ariosità e modernità a condire gli stilemi tipici del genere. Un disco che, tra le altre cose, segnava il ritorno sulle scene del chitarrista Bernemann e del batterista Makka, entrambi ex Sodom. Insomma, un esordio convincente rovinato solamente dal caos pandemico mondiale avvenuto qualche settimana dopo la sua pubblicazione; catastrofe che ovviamente incise sulla promozione e diffusione dell’album stesso. Oggi i Bonded ritornano in azione, con le medesime armi, gli stessi attori e, fortunatamente, con l’identico risultato. Il qui presente “Into Blackness”, infatti, riprende quanto fatto di buono in “Rest In Violence” e lo sviluppa ulteriormente, cercando di variare in alcuni passaggi il tiro generale che comunque rimane sul binario di un thrash tradizionale e corrosivo. Parliamo di una band con alle spalle tre anni di carriera e due album all’attivo ma, dopo questa release, possiamo tranquillamente parlare di un Bonded-style; a conferma, ancora una volta, di come Bernd ‘Bernemann’ Kost è un qualcosa in più dell’ex fido chitarrista dei Sodom, e i suoi riff sono qui a dimostrarcelo. Discorso che vale, per quanto di sua competenza, per il drummer Markus ‘Makka’ Freiwald. Menzione di diritto che spetta pure al cantante Ingo Bajonczak, sempre più a suo agio con le timbriche gaudio-brutali sganciate con questa band, riuscendo così a scavalcare quella staticità vocale ed interpretativa offerta con l’altro suo gruppo, gli Assassin.
Che la macchina thrash di stanza a Dortmund sappia esattamente il fatto suo lo conferma la tripletta iniziale di “Into Blackness”; dopo la celebrativa intro “The Arsonist”, la vera opener “Watch (While The World Burns)” ci mostra immediatamente come Ingo e compagni abbiano ricaricato le batterie a dovere in questi mesi di pausa forzata: un brano che certifica in toto quanto accennato qualche riga sopra, mescolando a dovere trepidanti ripartenze a refrain orecchiabili, sostenuti da riffoni propedeutici all’headbanging più genuino. Tensione che si tinge di atmosfera diabolica nella successiva “Lilith (Queen Of Blood)”, introdotta per l’occasione dal cantato vampiresco di Rægina, singer della black metal band tedesca Dæmonesq. Pezzo micidiale che esalta le prove di ognuno dei singoli componenti e che, con i tre episodi seguenti, andrà a costruire un breve concept lirico ispirato al libro di Richard Rhys Jones “The Division Of The Damned”. L’asticella di un thrash perentorio e melodioso non perde di potenza né con la spedita “The Holy Whore” (portentosa la parte strumentale posta a metà brano) e nemmeno con l’oscura “Division Of The Damned”. Un rincorsa tempestosa verso i due pezzi che vanno a simboleggiare le potenzialità di questo secondo album e, soprattutto, della band che lo ha realizzato. Se “Into The Blackness Of A Wartime Night” spicca ancora una volta per un andamento da montagne russe tra stacchi cadenzati e raffiche spezzacollo, “Destroy The Thing I Love” brilla per la sua estrema pesantezza, chiamando in causa addirittura richiami alla Hypocrisy. Detto che la seconda parte del disco perde leggermente d’intensità, riaccendendo la miccia nella conclusiva “The Eyes Of Madness”, la seconda fatica dei Bonded va dritta dritta alla voce ‘hot album dell’anno’, confermando che (deo gratias!) qualche nome nuovo all’orizzonte (pur con alcuni suoi interpreti già navigati) è pronto a prendere il greve testimone che lasceranno dietro di loro i grandi saggi del genere.