7.0
- Band: BORIS
- Durata: 00:45:39
- Disponibile dal: 25/11/2011
- Etichetta:
- Sargent House
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Continua il 2011 del tutto bizzarro dei Boris. Siamo giunti al terzo album in un anno, nessuno dei quali ha voluto riportare il power-trio del Sol Levante ai fasti super-heavy di appena un paio di anni fa. Il terzo capitolo del trittico “pop” della band giapponese si intitola semplicemente “New Album” ed esiste, sul mercato giapponese perlomeno, da oltre sei mesi ormai. Tuttavia la Sargent House ha pensato bene di fare un’altra infornata del synth-pop macerato nello space rock che i nipponici ci avevano somministrato poco fa con il sognante “Attention Please” e, in misura minore, con il roccioso “Heavy Rocks”. “New Album” sembra – e a tratti, lo è a tutti gli effetti – un riassunto dei due lavori precedenti, e coniuga in maniera dosatissima gli elementi salienti sia di “Attention Please” che di “Heavy Rocks”, (ri)proponendo alcune tracce tratte direttamente da quei due lavori (con le riarrangiate “Hope”, “Spoon” e “Les Paul Custom’68” derivate da “Attention Please”, e “Jackson Head” e “Tu, La La” tratte da “Heavy Rocks”), e offrendone delle nuove che ci mostrano il trio di Tokyo nuovamente intento a giocare pericolosamente con una marea di tastiere, e a far risaltare ancora una volta la figura di Wata come band-leader, front-woman e musa ispiratrice del sound corrente dei nostri, perso a metà strada tra feedback soffocante e intrecci minimal-electro. Nulla di nuovo sotto il sole, dunque; la voce di Wata regna quasi incontrastata, dando all’intero lavoro l’ennesimo taglio sexy, sensuale e quasi adolescenziale, soprattuto nelle parti più sostenute e serrate, che, data la delicatezza con le quali vengono proposte, diventano praticamente dei ballatoni glam-punk, come mostrano inequivocabilmente la opener “Flare” e la conclusiva jam pop-psych “Looprider”. Gli altri pezzi, oltre a quelli già noti dai capitoli precedenti, a tratti spiazzano e a tratti confondono, ma non deludono mai, anche quando le incredibili “Luna” e “Pardon?” si allontanano così tanto dal rock da assomigliare ad uno dei momenti più intrippati dei Telefon Del Aviv. Lavoro mezzo-riciclato? Forse. Puzza di trovata commerciale? Percepibile. Lavoro da ignorare? Mai e poi mai. Questi sono i Boris, e anche quando si “rilassano”, o decidono semplicemente di giocherellare, la noia o la prevedibilità nei loro lavori non si sa neanche cosa siano. Ripromossi, per la terza volta in un anno.