5.5
- Band: BORIS , MERZBOW
- Durata: 02:28:50
- Disponibile dal: 18/03/2016
- Etichetta:
- Relapse Records
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
Apple Music non ancora disponibile
Questa recensione poteva assumere diverse forme. Giunti infatti all’ennesima collaborazione, il collettivo Boris e il rumorista Merzbow hanno deciso di comporre due dischi separati e integrati allo stesso tempo: nove tracce affidate ai primi, che per lo più reinterpretano loro brani più o meno datati senza batteria, e quattro al secondo, a raggiungere la stessa identica durata. Con l’idea folle della possibilità, o forse necessità, di ascoltare i due dischi contemporaneamente. L’idea non è del tutto nuova: l’esempio più facile, se ci si passa il termine, è quello della splendida doppietta “Times Of Grace” e “Grace” delle due identità Neurosis e Tribes Of Neurot; e, visto che anche in questo caso le due componenti sonore sembrano rappresentare decisamente due facce della stessa medaglia, è con questo approccio che il vostro recensore ha deciso di intraprendere l’ascolto: quindi doppio play in sincrono, e via con l’eroico viaggio. Sono evidenti subito due certezze: da una parte come, venendo separati, i due dischi si perdano senza troppi giri di parole nelle derive di un rumorismo quasi fine a se stesso (sì, lo confessiamo: qualche minuto separato, in prima istanza, l’abbiamo affrontato); e poi come questo muro psicotico e caotico rappresenti, di fondo, un unico brano in quattro movimenti, concedendo con fede che la scansione temporale e musicale la detti l’entità Merzbow. Sicuramente, dopo le iniziali “Farewell” e “Huge” versus “Planet Of The Cows”, oltre diciotto minuti di derive che rendono i Sunn O))) un gruppo da classifica, si passa al trapanamento cerebrale degno della musica concreta dei tempi d’oro, o semplicemente la perfetta colonna sonora del primo Abel Ferrara: sparisce infatti del tutto ogni melodia nell’altrettanto lungo movimento di “Resonance”, “Rainbow” e “Sometimes” versus “Goloka pt.I”, e sui droni di overdrive e macchine si stagliano solo improbabili colpi percussivi e una voce a tratti suadente, più spesso dissonante. Il terzo movimento esacerba da una parte la presenza vocale di Wata e al tempo stesso l’asprezza musicale, prima del gran finale di “Prelude to a Broken Arm”, un muro continuo di campionamenti, dolore e distorsione di produzione Merzbow sovrapposto ai passaggi in cui lo shoegaze incontra lo sludge di “Akirame Flower” e “Vomitself”, sfornati dagli altri tre folli. A questo riguardo, una piccola curiosità: una delle tracce più lunghe, “Sometimes”, è una cover dei My Bloody Valentine, quasi a riprova di una certa predisposizione generale verso tali sonorità. Che dire, insomma, di questo lavoro? Francamente nella valutazione complessiva prevale un generale senso di noia; da una parte, nessuna delle due componenti in campo necessitava di questo particolare artificio per sfornare qualcosa di nuovo, e dall’altra non manca qualcosa di interessante, qua e là, in questo denso magma. Ma il troppo stroppia, e per fortuna la versione promo conteneva “solo” i primi due di quattro dischi. Aggiungete o sottraete a scelta due punti pieni se, rispettivamente, l’onanismo sperimentale vi esalta o se all’opposto certi azzardi li trovate fini a loro stessi. Si sa che i secchioni, di solito, sono anche parecchio dediti alla masturbazione: tocca accettarli così.