8.0
- Band: BORKNAGAR
- Durata: 00:43:30
- Disponibile dal: 01/04/2000
- Etichetta:
- Century Media Records
- Distributore: Self
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“Quintessence” rappresenta un punto focale nel processo evolutivo dei Borknagar. Una chiave di volta che sradica la band dalle sue origini nordiche e la proietta in una nuova realtà adimensionale nella quale il gruppo di Brun è costretto a crearsi una nuova personalità. Inizia a tingersi il nuovo universo sonoro dei Borknagar, e uno dei colori usati è fornito da Lars A. Nedland (tastierista anche degli indecifrabili e geniali Solefald), nuovo membro della band assieme al batterista Asgeir Mickelson. Cambia un po’ tutto in questo album rispetto al passato eppure ascoltando “Quintessence” si capisce che a suonare sono pur sempre i grandi nostri norvegesi: evoluzione, senza negazione della propria identià, ecco la difficile vittoria ottenuta nei nuovi dieci brani contenuti in questo album di trapasso. Già l’iniziale “Rivalry Of Phantoms” può lasciare spiazzati per la nuova veste musicale cosmica dei Borknagar, per un songwriting meno ‘nordico’, ma sempre personale; per una registrazione più corposa che però inguaia le chitarre in una saturazione forse eccessiva (colpa della scelta ricaduta sugli abusati Abyss Studio, semplicemente inadatti a certe produzioni di gruppi con in possesso già di uno stile personale). Una delle differenze tra il debutto e “The Olden Domain” risiedeva nell’approccio differente del cantante (all’epoca Garm), con una sua più spiccata propensione alle parti con la voce pulita. Non che in “The Archaic Course” I.C.S. Vortex non abbia usato la sua fenomenale voce naturale, ma qui la dose è più massiccia (a volte pure troppo) e moltissime (quasi tutte) sono le sovraincisioni in cui viene privilegiata la traccia con le tonalità più alte. Ma il vero cambiamento dei Borknagar in questo cd sta nell’utilizzo delle tastiere, e specialmente nei suoni scelti. Per chi conosce i Solefald lo stile è presto identificabile, e ad ogni modo si tratta di un utilizzo del tutto diverso da quello fatto dai gruppi viking o black metal sinfonici. Niente cori o archi, bensì suoni che ricordano l’organo, o suoni leggermente psichedelici che in questa maniera fanno subire al mood tipico della band scandinava una virata veramente non indiferrente. “The Presence Is Ominous” è un brano semplicemente mal riuscito: modesta la parte strumentale, ma soprattutto maldestro l’utilizzo delle metriche vocali (quasi forzate, come se Vortex dovesse per forza di cose conciliare un testo precostituito ed immutabile su una base non idonea alla sua metrica) ed il modo in cui vengono utilizzate. Ci sono quasi sempre due voci pulite (su cui spicca quella impostata su tonalità più alte) e uno screaming in sottofondo quasi impercettibile. L’atmosfera che si crea non è davvero conciliante con il metal estremo, a quasi sembra di sentire un ritornello di quelli tanto in voga nel pop (magari non di quello dall’aria felicissima, ma sempre pop). Per fortuna la successiva “Ruins Of The Future” offre subito violenza, ed un tipico songwriting alla maniera cui i Borknagar ci hanno da sempre abituati. L’inizio del brano è travolgente, e tutta la canzone è molto positiva – escluso il ritornello, anche fuori luogo, senza presa, fuori dal contesto. Ci si inizia a preoccupare sul lavoro del cantante, che pure è un ‘mostro’, così brillante nel disco suo di debutto eppur qui così poco ispirato da lasciar credere di non aver capito l’atmosfera del disco, il giusto approccio da avere. Dal nulla spunta uno dei brani simbolo del quintetto scandinavo: “Colossus”, una canzone dal titolo emblematico. Vortex stavolta fa rimangiare tutti i pregiudizi negativi sorti nei suoi confronti durante i minuti precendeti del cd, e piazza un’interpretazione destinata ad essere ricordata per molto tempo ancora. Colonna capace di sorreggere, da sola, il peso del nuovo corso intrapreso dal gruppo, “Colossus” è simbolo della genialità, di un’epicità talmente densa da evadere i confini propri di tale dimensione. Dopo il classico intermezzo a metà cd, come di consueto per un lavoro dei Borknagar, è il turno di “Invincible”, un brano più che discreto e atto a dimostrare quale sia la nuova veste della band: sempre ispirata, ma con un songwriting di chitarra soffocato perché ora sono decisamente le tastiere a marchiare la nuova creatura Borknagar. Dopo la convincente “Icon Dreams”, “Genesis Torn” alza un po’ di più il livello standard di “Quintessence” con la sua aggressività e la contemporanea leggera atmosfera rilassante. L’interludio piacevole di chitarra fatto da Brun in “Embers” è il trampolino di lancio ideale per la conclusiva e sognate “Revolt”. Qui torna prepotentemente in primo piano la classe della band che conclude il cd con una canzone davvero d’alta statura emotiva, capace di proiettare le melodie dallo spazio e irradiarle in tutte le galassie. Il gruppo ha abbandonato le proprie radici senza tradirle, ora l’essenza dei Borknagar è libera di volare verso altri lidi, capace di mantenere una coerenza e una peculiarità di cui ormai in molti si sono accorti.