8.0
- Band: BORKNAGAR
- Durata: 00:59:12
- Disponibile dal: 27/09/2019
- Etichetta:
- Century Media Records
- Distributore: Sony
Spotify:
Apple Music:
Si era già capito con il precedente “Winter Thrice” che i Borknagar avevano ripreso a subire il fascino pungente e gelido del Nord e quando la formazione norvegese ha svelato al pubblico il titolo e la copertina del nuovissimo “True North”, chi ama e segue la creatura di Øystein G. Brun ha iniziato, comprensibilmente, ad avere grandi aspettative: una direzione netta, un punto cardinale, i colori freddi del paesaggio innevato e il monte Årbostadtinden a dominare la scena. Sarebbe ingenuo, però, immaginare che una band come i Borknagar, che ha sempre fatto dell’evoluzione e della sperimentazione un punto d’onore, possa presentarsi oggi con un lavoro che sia un puro e semplice ritorno alle origini. “True North”, come il suo predecessore, valorizza le radici antiche ed arcane della band, ma senza nostalgia dei tempi che furono. I Borknagar hanno compiuto un viaggio lungo vent’anni e, come sempre accade, il ritorno a casa porta con sè un bagaglio di esperienze che non potranno mai essere cancellate: tornano nelle terre del Nord, ma nel mentre hanno avuto l’occasione di esplorare il cosmo intero.
Fatta questa doverosa premessa, quello che ci troviamo tra le mani è un lavoro di qualità enorme, dotato di un equilibrio invidiabile tra le parti. Un lavoro che stupisce ancora di più perché arriva dopo uno scossone non indifferente in termini di line-up: i Borknagar hanno dovuto gestire l’abbandono del batterista Baard Kolstad, dello storico chitarrista Jens F. Ryland, e soprattutto di Vintersorg, la cui voce ha caratterizzato tante composizioni di Brun. I norvegesi, però, non hanno mollato il colpo e hanno serrato i ranghi, integrando due ottimi nuovi musicisti e riassettando le parti vocali intorno al sempre eccellente ICS Vortex, coadiuvato ancora una volta da Lars Nedland.
“True North” contiene nove composizioni epiche che però non scadono mai nel pacchiano; maestose senza la necessità di inutili orpelli e barocchismi; impregnate di magia e tradizione, senza inciampare mai nel paganesimo da libro fantasy; evolute e progressive ma sempre guidate da una direzione artistica ben salda e che non si perde nell’esibizione sterile di bravura. I Borknagar giocano le loro carte e la loro unicità nel creare un album maturo e capace di convincere in egual misura sia i fan della prima ora che quelli più recenti. Brani come il primo singolo, “The Fire That Burns” o l’iniziale “Thunderous” trasportano l’ascoltatore in un paesaggio maestoso e solitario, in cui l’essere umano si piega di fronte alla grandezza della Natura. Essendo però una band dalle molteplici sfaccettature, con il trascorrere dei minuti il loro mondo si tinge di colori sempre diversi: “Up North” sacrifica in parte il gelo e il nero in favore del calore di una melodia perfetta, con l’hammond di Lazare a ricamare con eleganza e gusto; “Into The White” spinge sulla componente progressive, con gli strumenti ad intrecciarsi in partiture mai banali o scontate; mentre “Lights” sfrutta il timbro del tastierista per disegnare paesaggi più eterei e scintillanti.
Non possiamo chiudere questa recensione, però, senza parlare ancora di due brani. Il primo, “Wild Father’s Heart” è un gioiello scritto da Brun in onore del padre, venuto a mancare: una canzone malinconica, riflessiva, piena di rispetto e suonata con un’intensità davvero toccante. La seconda, invece, è “Voices”, scritta da Nedland: l’inizio del brano si costruisce intorno ad una singola nota, continuata e ipnotica; la voce di Lars si muove intorno ad essa, costruendovi sopra una melodia che sembra non lasciare scampo, come il canto delle sirene, e anche quando finalmente il brano si stratifica ed esplode in tutta la sua forza, resta comunque nell’ascoltatore uno strano, affascinante senso di straniamento.
“True North”, in definitiva, convince pienamente e se dovessimo proprio andare a caccia di qualche difetto, lo troveremmo giusto in qualche piccolo dettaglio: qualche limatura in un paio di brani, tra quelli non citati, che faticano a decollare; oppure nella produzione che, per quanto pulitissima e professionale, non sempre riesce a restituire quell’atmosfera che si percepisce chiaramente nella scrittura. Una cosa, però, è certa: i Borknagar, dopo quasi venticinque anni di carriera, non hanno mai perso la capacità di scrivere grandissimi album. Oggi, ancora una volta, l’hanno dimostrato senza se e senza ma.