7.0
- Band: BOTANIST
- Durata: 00:38:23
- Disponibile dal: 01/09/2017
- Etichetta:
- Avantgarde Music
- Distributore: Audioglobe
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Questa nuova fatica dei californiani Botanist, da questo lavoro in poi non più una one man-band in senso stretto, bensì, come facilmente intuibile, collettivo, ha davvero molti motivi per cui far parlare di se. Ma partiamo velocemente dal progetto. Se avete fatto una breve ricerca sapete già che una peculiarità di questa proposta è l’assenza di chitarre, sostituite da un dulcimer (o salterio) nonché l’abnegazione verso una sorta di deificazione – e in questo caso antropomorfizzazione – delle piante intese come soggetto principe e di diritto forma di vita regnante sulla Terra. Non stiamo parlando di un pacchiano concept in cui le piante prendono il sopravvento, anzi, l’idea dei Botanist ha un sottotesto filosofico condivisibile ed estremamente apprezzabile. Un altro punto di coinvolgimento è che, senza chitarre e con uno strumento medievale, i nostri amici propongono un – bizzarro invero – black metal con connotazioni dream pop, post rock, shoegaze e vagamente hipster che nella loro intenzione ci ricordano gente tipo i Deafheaven e il loro modo di approcciarsi alla materia. Per ovvi motivi, dunque, il metal qui proposto è esente da distorsioni e da tutta una serie di punti focali che rendono il genere quello che è, e qui sta il coraggio del mastermind Otrebor, che nel frattempo, durante gli anni, ha saputo affinare la propria proposta sempre di più e sempre più saggiamente, tanto da attirare l’interesse di Avantgarde. Insomma, com’è questo “Collective: The Shape Of He To Come”? Un disco assolutamente interessante, diremmo di primo acchito. Ovviamente le sonorità sono qualcosa di diverso e una certa, folle lucidità va a rimestare i concetti musicali a noi noti in qualcosa di diverso, con un suono che sostituisce una certa, naturalistica ariosità al riffing serrato cui siamo abituati, benché ovviamente la sezione ritmica e la voce suonino con la foga e il sozzo rigore di un black vecchia scuola. Il risultato è un disco strano ma ipnotico, che cambia in continuazione sensazioni ed esternazioni, ora quieto e trasognante, ora furioso e imperterrito, che entra in un ambito e ne esce, e che con una certa coerenza restituisce, a modo suo, quello che l’immaginario sembrava voler creare. Tanto di cappello.