7.0
- Band: BOUNDARIES
- Durata: 00:35:00
- Disponibile dal: 29/03/2024
- Etichetta:
- 3Dot Recordings
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Dopo due full-length (“Your Receding Warmth” del 2020 e “Burying Brightness” del 2022) e un’attività live sempre più massiccia e prestigiosa, con date sia nel Nuovo che nel Vecchio Continente a supporto di realtà del calibro di After the Burial, Counterparts, Dying Wish e Lorna Shore, per i Boundaries arriva il momento di affrontare la cosiddetta prova del nove e lanciare una volta per tutte le proprie quotazioni all’interno del circuito hardcore/metal mondiale, licenziando un’opera – il qui presente “Death Is Little More” – che non ci meraviglieremmo se si rivelasse quella del ‘turning point’ in termini di prosieguo di carriera.
Scritto e prodotto sotto la supervisione di Randy LeBoeuf nei celebri Graphic Nature Audio, già teatro delle registrazioni di lavori assai fortunati come “A Different Shade of Blue” e “Oh What the Future Holds”, l’album vede il gruppo del Connecticut mettere a frutto l’esperienza acquisita negli ultimi anni in un suono che si nutre tanto di rabbia e ossessività quanto di dolcezza e struggimento, oscillando fra questi due opposti per un risultato finale di certo non privo di transizioni brusche e inaspettate, ma non per questo poco efficace nel suo complesso.
Di fatto, ciò che il quintetto imbastisce è un compendio in grado di spaziare in lungo e in largo la gamma di umori e soluzioni del metalcore contemporaneo; una playlist per un viaggio on-the-road dai toni ora cupi e brutali, ora malinconici e distesi, il cui scorrere finisce per ricordare quello di un cielo che, dopo un violento acquazzone primaverile, si riapre timidamente all’azzurro. Con il presentimento di una nuova tempesta all’orizzonte.
Nulla di personale e distintivo, visto che scomponendo in singole parti i dodici brani della tracklist è facilissimo risalire alle influenze di Knocked Loose, Norma Jean, Vein.fm e della scuola melodic hardcore dei suddetti Counterparts, eppure l’insieme – preso anche atto di qualche forzatura in sede di songwriting – funziona, invitando al replay a riprova di come i Nostri siano qui riusciti a compensare una personalità lungi dall’essere clamorosa con un’interpretazione accorata e con alcuni passaggi sopra la media (il singolo “Easily Erased” si candida a tormentone metalcore di questo inizio 2024).
Molto buono il ‘lato A’, con episodi che sottolineano a più riprese la vivacità del lavoro di chitarra e il trasporto delle linee vocali a cura del frontman Matthew McDougal e del batterista Tim Sullivan, mentre va detto come più avanti, fra assalti un po’ troppo caotici e flirt trascurabili con l’elettronica, la raccolta perda leggermente il filo del discorso, risollevandosi comunque in tempo per il featuring di Matt Honeycutt (Kublai Khan) sulla punitiva “Blood Soaked Salvation” e per lo sfoggio di melodie agrodolci della conclusiva “Inhale the Grief”.
Non un lavoro al 100% a fuoco, quindi, ma comunque un deciso passo in avanti per una band in continua crescita, la cui eterogeneità stilistica sembra ormai prossima a trovare la strada del vero successo. Lato nostro, cercheremo di non perderceli nell’imminente tournée europea in compagnia di Mouth for War e altri.