7.5
- Band: BOZOO
- Durata: 00:46:14
- Disponibile dal: 11/10/2024
- Etichetta:
- Argonauta Records
Spotify:
Apple Music:
L’italia non sarà certamente la Sky Valley di kyussiana memoria, eppure il sottobosco nostrano è abitato da una vivace ed agguerrita tribù di band che sono riuscite a cucirsi addosso uno stile devoto ai suoni che pervadevano gli anni ’90, e che riescono ad ottenere visibilità grazie al lavoro appassionato di alcune etichette specializzate.
A questa schiera si sono uniti recentemente i Bozoo, fondati nel 2019 a Prato e già autori di un esordio su EP (“Three Heads”) dove il verbo Pixies/Nirvana veniva declinato in toni gentili e orecchiabili (“Lying Brides”).
Per il primo passo sulla lunga distanza (questo omonimo “Bozoo”, edito da Argonauta Records) il trio invece mette da parte la passione per l’indie rock, proponendo un disco che mostra solidità nell’esecuzione ed una maggiore sicurezza nella scrittura, a partire dal divertente “Mayday”, che apre il disco e lo rappresenta anche come singolo, un omaggio al Kurt Cobain pop più spontaneo e meno prodotto (quello di “Incesticide”, per intenderci), per poi muoversi verso il rock’n’roll robotico figlio dei Queens Of The Stone Age di Josh Homme (“Flushing Action”).
Vicini al grunge ma lontani dalle sue depressioni, un po’ come sapevano esserlo i Love Battery (“Cut”, la conclusiva “Chocked Noise”), i Bozoo dimostrano di aver ben studiato i classici, riuscendo nell’arte di citare – si ascoltino il giro armonico preso in prestito da “Dirt” per farne ossatura di una “Bare Brench” che è quasi un prog metal dei primi Tool, oppure “Call Me Nobody”, una tirata hard rock a la Soundgarden – senza inciampare mai nel plagio, ed in questo contesto è stata saggia la scelta di non aver inserire in tracklist l’apocrifo Alice In Chains “Skizzen”, messo qualche settimana fa su Spotify proprio ad accompagnare “Mayday”.
All’interno di un lavoro già di per sè convincente spiccano il bel refrain della saltellante “Rolling” (proposta in precedenza nell’EP “Three Heads” e dotata di una scintillante coda chitarristica), la sezione ritmica da manuale nineties in “Two Holes”, “Over You”, una ballata sospesa tra malinconia e tentazioni psichedeliche, e e soprattutto “Scott Mary”, quattro minuti di esaltanti scorribande elettriche dove la band mostra di essere diventata qualcosa di più del “gruppo nostalgico delle serate ubriache a base di Dragon” che si svolgevano in qualche locale di Prato, come ama presentarsi sul web.
Oltre a chiedersi cosa diavolo sia il Dragon, non c’è molto altro da dire su questo album, sui musicisti coinvolti (Marco Benedetti-basso, Francesco Bardelli-voce/chitarra e Alessandro Lucarini-batteria) che si mostrano affiatati nonostante il trio sia nato in tempi relativamente recenti o sul suono (meno vintage di quanto ci si potrebbe attendere o temere); inutile dire, inoltre, che chi srive non può che essere felice di questa ondata revival, se i risultati sono album come questo o il recente lavoro degli A Forest Might Black.
L’unico consiglio, quindi, è quello di dare una possibilità al disco e godersi queste belle canzoni.