7.0
- Band: BRANT BJORK
- Durata: 37:29
- Disponibile dal: 10/04/2020
- Etichetta:
- Heavy Psych Sounds
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Tredicesimo disco solista per lo storico batterista dei Kyuss, nonché produttore, nonché polistrumentista, songwriter, nonché indiscussa figura di spicco di tutto il panorama stoner: mister Brant Bjork. Per la nostrana Heavy Psych (che ormai si accaparra er mejo der mejo de la produzione psichedelica pesante dell’oggigiorno) è ancora una volta accomodante trovarsi al cospetto di un sound avvolgente, conosciuto, suadente come solo chi ha fatto la storia di un genere è capace di trasmettere.
Un disco omonimo, atto forse a sancire qualcosa di particolarmente significativo, un nuovo inizio, forse, o un’emblema della carriera. Ed è, in effetti, molto probabile che ci si trovi qui di fronte ad una delle migliori e più efficaci prove discografiche (da solista) del musicista di Palm Desert, proprio quando l’uomo del deserto decide di registrare ogni strumento presente nel disco, senza collaborazioni di sorta. “Jesus Was A Bluesman”, ladies and gentlemen, non può facilmente uscire da quei canoni di vero e proprio anthem, conscio del fatto di porsi come tale, fatto apposta, se vogliamo, ma capace di dare al fan stoner quel che c’è bisogno. Esattamente quello, senza le progressioni visionarie dei Kyuss, senza i cambi di tempo, le accelerazioni, insomma, senza nulla che non sia un pattern blues distorto riconosciuto, canonico e in grado, una volta piazzato nello stereo, di far superare i deserti come se niente fosse. “Jesus was my bluesman, and now I really understand”: statement che sarebbero stati in grado di durare per una decade, ai tempi giusti, e che oggi possono però fare bella figura nel corso di un album (vista anche la prolificità – annua – con cui mr Bjork pubblica un disco). Alla grande anche il proseguo di altri pezzoni come “Cleaning Out The Ashtray”, che ammorbidisce ancora i toni e resta quasi un girotondo pulp che sarebbe andato bene in un romanzo di Bukowski, poco più in là di San Pedro. Menzione d’onore anche per la finale acustica “Been So Long”, memore degli anni Novanta, dei Fu Manchu ma anche del grunge nirvaniano di quei tempi.
In definitiva il tredicesimo disco solista di Brant Bjork è un tassello decisamente importante e significativo per il percorso di questo musicista. Non crediate di trovarci nulla di trascendentale, nuovo o particolarmente discostantesi dalle coordinate già ampiamente tracciate nel corso del suo tempo. Quello che, però, fa schioccare ancora le dita e muovere la testa a tempo è la presenza di canzoni che funzionano per la loro semplicità, la loro efficacia e una vena che comunque, ad ogni modo, riesce comunque a risultare autentica. Sarà l’eredità storica e musicale di una grande band come i Kyuss, o lo spirito del Mojave, o qualche altro strano motivo, ma è sempre un piacere avere a che fare con Brant Bjork.