6.5
- Band: BRANT BJORK , BRANT BJORK TRIO
- Durata: 00:41:33
- Disponibile dal: 20/09/2024
- Etichetta:
- Duna Records
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Se Brant Bjork, dopo aver scritto “Green Machine” e “Gardenia” ed essersi seduto dietro le pelli durante la registrazione di un pugno di dischi dei Fu Manchu (“The Action Is Go” compreso, s’intenda) avesse deciso di aprire un chiringuito nel deserto e vendere tortini ripieni di Peyote ai turisti per il resto della sua vita, nessuno di noi avrebbe avuto da eccepire o da recriminare.
In fondo, il polistrumentista californiano è riuscito a costruirsi in meno di dieci anni una reputazione inattaccabile che gli ha permesso, dal 2002 in poi, di muoversi con l’indifferenza beata di un Drugo Lebowski lungo un prepensionamento di rimpatriate tra amici, jam session casalinghe e dischi più o meno buoni a seconda dell’ispirazione (chi scrive consiglia ovviamente il classico “Saved By Magic”, ma pure il pacato “Bougainvillea Suite” e “Brant Bjork & The Operators”, con i suoi pezzi facili ed orecchiabili, meritano più di un ascolto), ma in ogni caso irrilevanti.
“Once Upon A Time In The Desert” (che si fregia di una copertina deliziosamente ironica, fra l’altro) è il tredicesimo tassello di questa seconda fase di carriera e sembra mosso, più che da reali esigenze espressive, dalla volontà di celebrare la rinascita della Duna Records, etichetta amatoriale che nel 2007 aveva cessato le pubblicazioni per lasciar posto alla più professionale Low Desert Punk.
Pubblicato come Brant Bjork Trio, il disco vede la partecipazione di Mario Lalli (Yawning Man e frequentatore assiduo delle Desert Sessions) al basso e del fidato batterista Ryan Güt, per nove brani di stampo hard rock sudista, nate in un deserto più vicino a quello cantato dagli ZZ Top (“Astrological Blues-Southern California Girl”) che alla spianata di sabbia e sassi che circonda il Rancho De La Luna, nonostante richiami ai Kyuss di “50 Million Year Trip” e “One Inch Man” siano comunque presenti in pezzi come “Rock And Roll In The Dirt”.
Fedele alle premesse, il lavoro si lascia ascoltare con piacere, ma tra le scorribande blues di “Sunshine Is Making Love To Your Mind” e “Higher Low”, i richiami acid rock della la suadente “Magic Surfer Magazine” (che sarebbe piaciuta ai Sun Dial di Gary Ramon) e qualche numero stoner rock’n’roll degno del repertorio dei Fu Manchu (il singolo “Backin’ The Daze”, ad esempio) si rimpiange comunque la mancanza di brani capaci di imprimersi nella memoria, tanto che a spiccare rimane solo l’opening “U. R. Free”, un gradevolissimo blues rock dal piglio pop che curiosamente suona come il primo Lenny Kravitz.
“Once Upon A Time In The Desert” si posiziona quindi a metà classifica, lungo la nutrita discografia di Brant Bjork: non va oltre la sufficienza (comunque piena) ma d’altro canto non scalfisce minimamente la stima e la simpatia che continuiamo a nutrire per questo artista.