7.5
- Band: BRING ME THE HORIZON
- Durata: 00.51.54
- Disponibile dal: 25/01/2019
- Etichetta:
- Columbia
- Distributore: Sony
Spotify:
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Passati tre anni da “That’s The Spirit” i Bring Me The Horizon sono ancora in grado di stupire: pubblicando un manciata di singoli che facevano presagire una prosecuzione sulla traiettoria alt-rock da classifica il rilascio di “amo” ha svelato un’ulteriore svolta stilistica con conseguente pirotecnico spettacolo mediatico: detrattori, analisti, fan traditi, improvvisati elitisti alla rovescia (“a me piace perché ho la mente aperta, i metallari non possono capire”). La prima grande vittoria di “amo” arriva quindi alla release date, perché nel 2019 suscitare una reazione conta più di essere bravi. La seconda vittoria arriva una settimana dopo, quando il disco viene certificato al numero uno in classifica nel Regno Unito e in Australia: saranno bastati i preorder? Non lo sappiamo, di sicuro anche in questo caso la strategia ha pagato col raggiungimento di un risultato cercato e palesemente non alla portata di tutti. In una manciata di anni Jordan Fish, allineandosi alla visione e all’ambizione di Oli Sykes o forse stregandolo e ammaliandolo, si è preso tutto, costi quel che costi, arrivando a questo “A Thousand Suns” o “Zooropa”, ad oggi apice della sperimentazione e dell’eclettismo sonoro del gruppo.
Posto che i BMTH, affacciandosi alla maturità anagrafica ed artistica, hanno tutto il diritto di procedere col loro processo di mutamento stilistico, “amo” si manifesta in tutta la sua modernità e contemporaneità sotto forma di una playlist multi-genere, unita dal filo conduttore delle vocals di Oli e sotto il concept di un disco che ‘esplora ogni aspetto dell’emozione più grande di tutte’. La playlist, meglio se precompilata, ha quasi sostituito l’album tra millennial e nativi digitali annoiati dalla disponibilità istantanea ed infinita di musica e intrattenimento (Spotify, Netflix), minacciando di morte le sottoculture. Ecco dunque che al rock/metal alternativo si affiancano canzoni pop (quello vero, sintetico) come “I Apologise If You Feel Something” e la più effervescente “Ouch”, dove Oli Sperimenta il vocoder, oltre alla vera e propria hit da classifica, quella “Mother Tongue” semplice fino al fastidio. Assieme alla strumentale “Fresh Bruises” questo nucleo di tracce sarà la pietra tombale che una buona fetta di ascoltatori metterà sul gruppo. Escludiamo volontariamente uno dei pezzi contemporaneamente più zarri e brillanti dell’album: “Nihilist Blues” è una cannonata trance/eurodance che coinvolge la cantante art-pop Grimes, prova più evidente di come il collettivo sia in grado di buttarsi in territori del tutto inesplorati (un club di Ibiza in questo caso) portando a casa risultati comunque soddisfacenti. La componente rock e metal di “amo” prosegue solo in parte sulle cifre stilistiche di “That’s The Spirit”, perché anche qui c’è sperimentazione e ricerca di un sound più contaminato: parliamo ovviamente di “Wonderful Life”, scritta per i Limp Bizkit, ricodificata dal gruppo e resa folle dalla partecipazione di Dani Filth. Parliamo anche di “Sugar, Honey Ice & Tea”, densa di contrasti, o del manifesto ideologico “Heavy Metal”, un ritorno digitalizzato al metalcore con la collaborazione del rapper e beatboxer Rahzel. “In the Dark”, “Why You Gotta Kick Me When I’m Down?” e “I Don’t Know What to Say” seguono il singolo “Medicine” nel collegarsi all’album precedente, mantenendo le chitarre ma anche una struttura pop rock con abbellimenti electro.
Guardando le foto promozionale gli esordi ‘scene’ sono ormai lontani anni luce: Oli si veste come Post Malone e resta l’unico vero volto da sbattere su Instagram, il resto della band fa da tappezzeria. Eccoci qua dunque, con un salto completato verso la categoria “Non Solo Metal” e quell’innata capacità di restare un passo avanti alla concorrenza, che anche stavolta con tutta probabilità si troverà ad inseguire. I BMTH hanno fatto una scelta, popolare o impopolare che sia, sicuramente rischiosa. Hanno vinto la loro scommessa? I numeri dicono di sì, e chi pensa sia facile e scontato si metta a contare le band che si sono schiantate fatalmente dopo una decisione sbagliata. L’unico difetto di questo disco, a parere di chi scrive, è che sotto momenti molto brillanti manca quella sensazione di pienezza assoluta ed organicità raggiunta in “Sempiternal”, per raggiungere quella vetta c’è qualcosa per tutti ma non abbastanza per nessuno. Dopo esserci presi parecchio tempo per un ascolto accurato possiamo dirlo: che belle le sorprese ben riuscite.