7.0
- Band: BROKEN HOPE
- Durata: 00:36:02
- Disponibile dal: 30/09/2013
- Etichetta:
- Century Media Records
- Distributore: EMI
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Annunciato da qualche mese, ecco finalmente il come-back album dei temibili Broken Hope, ora più che mai in cerca di bissare i fasti e il successo ottenuto con lavori del calibro di “Loathing” e magari di far dimenticare i passi falsi che hanno caratterizzato certi tratti della loro carriera. Sotto la supervisione di James Murphy (Obituary, Death), con un contratto con la potente Century Media e, soprattutto, con una lineup rinnovata, che vede Damian “Tom” Leski dei Gorgasm sostituire Joe Ptacek (R.I.P. 2010) al microfono, i Nostri danno alle stampe un album sicuramente gradevole, con qualche canzone decisamente riuscita. Jeremy Wagner e soci provano sostanzialmente ad accontentare un po’ tutti, mettendo insieme la furia cieca degli esordi di “Swamped In Gore” e “The Bowels Of Repugnance”, qualche velleità tecnica in odore appunto di “Loathing” e alcuni spunti più rotondi e moderni, che in particolare sembrano guardare all’operato di Dying Fetus e Aborted, due realtà esplose durante la lunga assenza dalle scene (ben quattordici anni) dei death metaller statunitensi. Ne viene fuori un disco mediamente ispirato e vivace, che si muove spesso e volentieri fra passato e presente. La produzione è senz’altro la più ordinata della carriera della band di Chicago – piena, concreta, ma non forzatamente moderna – e questa riesce a mettere bene in risalto sia l’innata aggressività, sia il rinnovato criterio dei Nostri, che evitano certi eccessi degli inizi, senza però prestarsi del tutto a quel modo di suonare death metal spesso troppo freddo e calcolato tipico di tante formazioni dei giorni nostri. “Omen Of Disease” è insomma un album che cede a qualche compromesso, ma che al tempo stesso dà di rado l’impressione di essere artificioso. Dimenticato il pallido “Grotesque Blessings”, i Broken Hope fondamentalmente riescono ad imporsi grazie ad una verve ritrovata, a quell’esperienza tipica dei veterani e ad un certo buon gusto nel guitar-work. Ad eccezione di un paio di pezzi un po’ “buttati lì”, la tracklist si rivela solida e divertente, vantando veri e propri picchi all’altezza di “Womb Of Horrors”, “The Flesh Mechanic” e “Predacious Poltergeist”. Uno sforzo più che sufficiente per rientrare in scena a testa alta.