8.5
- Band: BRUCE DICKINSON
- Durata: 00:53:37
- Disponibile dal: 03/06/1997
- Etichetta:
- BMG
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Il progetto Skunkworks è ormai definitivamente naufragato: critica e pubblico hanno accolto in maniera tiepida il terzo lavoro solista di Dickinson e gli altri componenti della band si sono dedicati ad altro senza troppi ripensamenti, lasciando il povero Bruce a raccogliere i cocci di una carriera che non sembra proprio voler decollare. A cambiare le cose, però, arriva una telefonata da Roy Z, il chitarrista e produttore con il quale Bruce aveva lavorato per la realizzazione di “Balls To Picasso”, che gli propone di collaborare su dei pezzi inediti. La novità è che, incredibile a dirsi, questa volta si tratta di canzoni metal. Dickinson, dopo aver trascorso qualche anno cercando di negare il più possibile il suo passato, ci pensa su e si rende conto che, in fin dei conti, questo è ciò che gli piace fare e che se proprio la sua carriera deve naufragare, che lo faccia almeno con un buon vecchio album metal. Ed è questo il pensiero del cantante, che è pronto a mollare tutto qualora anche questo lavoro si fosse dimostrato un fallimento. Per scongiurare questa eventualità, i due chiamano ad unirsi al progetto Adrian Smith, storico chitarrista dei Maiden che aveva abbandonato la nave ammiraglia subito dopo “Seventh Son Of A Seventh Son”. Si riforma così una grande coppia, che nella carriera dei Maiden ha composto pezzi da novanta come “Flight Of Icarus”, “2 Minutes To Midnight” e “Moonchild” e sebbene il chitarrista firmerà solo due brani del nuovo album, l’interesse del pubblico intorno a questo progetto inizia a riaccendersi velocemente. Quando per la copertina viene chiamato il buon Derek Riggs a dar vita ad una nuova mascotte di nome Edison, l’intento ormai è diventato chiaro: Bruce Dickinson è tornato a casa. “Accident Of Birth” è una raccolta di grandi canzoni, che suonano classiche senza scimmiottare i Maiden: Roy Z e Adrian Smith formano fin da subito una grande accoppiata, integrandosi alla perfezione tra di loro e macinando riff su riff; la sezione ritmica dei Tribe Of Gypsies formata da Eddie Casillas e Dave Ingraham è potente e dinamica; e poi c’è la voce di Bruce, che ci regala sfumature e colori che non sentivamo da tempo. Perché indipendentemente dal giudizio che si potrebbe dare all’avventura solista del cantante, una cosa è certa: questi anni hanno permesso a Bruce di crescere, affinando la sua tecnica e presentandosi molto più in forma da un punto di vista vocale rispetto al cantante ascoltato all’epoca di “No Prayer For The Dying” e “Fear Of The Dark”. Nell’album troviamo pezzi cupi e sulfurei, quasi sabbathiani come l’iniziale “Freak” o “Welcome To The Pit”; anthem metallici trascinanti e infuocati come “Road To Hell” o “Starchildren”; piccoli gioielli di melodia come “The Magician” e rasoiate taglienti come “Darkside Of Aquarius”. Splendido anche il comparto delle ballad, con quella “Man Of Sorrows” dedicata ad Aleister Crowley, due brani epici e malinconici come “Taking The Queen” ed “Omega” e quel piccolo capolavoro acustico che risponde al nome di “Arc Of Space”. Il risultato finale è eccellente e la schiera degli ammiratori di Bruce può finalmente tirare un sospiro di sollievo: una nuova era sta per iniziare per il frontman inglese e tutto parte da qua, da una marionetta maligna che sghignazza per le sue malefatte.