7.5
- Band: BRUCE DICKINSON
- Durata: 00:51:04
- Disponibile dal: 03/06/1994
- Etichetta:
- BMG
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Sono passati tre anni dalla prima avventura solista di Bruce Dickison e nel mezzo, come è noto, è scoppiato il finimondo in casa Iron Maiden. Il cantante, dopo tanti anni di successi come frontman di una delle band heavy metal più popolari al mondo, ha deciso di mollare baracca e burattini per provare a fare altro. Le tensioni salgono, volano parole grosse e l’ultima tranche del tour di “Fear Of The Dark” passa in un’atmosfera gelida, con esibizioni al limite dell’inaccettabile rispetto agli standard di una macchina da guerra come gli Iron Maiden. Bruce, intanto, inizia a pensare seriamente a cosa fare del suo futuro musicale e, questa volta, decide di fare a meno dell’aiuto di Chris Tsangarides, con il quale aveva già iniziato ad abbozzare del materiale. Il motivo è semplice: non vuole rischiare di trovarsi ad essere la copia carbone della sua vecchia band, vuole sperimentare ed allargare i suoi orizzonti. Si rivolge così a Keith Olsen, produttore di fama mondiale che ha lavorato con Fleetwood Mac, Grateful Dead e Sammy Hagar, e gli chiede non solo di realizzare un disco dove non ci sia alcuna traccia di metal, ma addirittura di abbandonare il classico modus operandi che parte dalle chitarre, da un riff o da una jam session. Bruce non vuole che l’album venga suonato, quanto piuttosto ‘programmato’, alla stregua di un artista pop rock: i due partono da basi elettroniche realizzate con strumenti sintetici e solo dopo si affidano a qualche session man per replicare le parti strumentali con musicisti veri. L’esperimento, però, non funziona (oseremmo dire ‘fortunatamente’): mancano i pezzi, tutto suona artefatto e, quindi, per la seconda volta, Dickinson butta tutto alle ortiche e decide di ripartire da capo, spinto anche da un incontro fortuito che cambierà le sorti della sua carriera solista. Durante il lavoro con Olsen, infatti, Bruce si imbatte in un talentuoso chitarrista che si chiama Roy Ramirez, detto Roy Z, che suona in una interessante formazione dal nome Tribe Of Gypsies. Dickinson rimane colpito dal ragazzo e dalla sua band e, quasi come un’epifania, si accorge di non voler avere nulla a che fare con basi e sequencer, ma di voler tornare a cantare e comporre alla vecchia maniera. Tra Roy e Bruce scatta l’intesa e si mettono subito all’opera, aiutati da tutti i Tribe Of Gypsies, per dare vita in breve tempo a “Balls To Picasso”. Rimane la voglia di sperimentare cose nuove, provando soluzioni diverse, sia per stile che per strumentazione, ma la matrice alla base del disco rimane fortunatamente ancorata al mondo del rock duro. Musicalmente l’album ha un’atmosfera completamente diversa rispetto a quella respirata in “Tattoed Millionaire”. Se quest’ultimo, infatti, nasceva con un intento leggero e scanzonato, in “Balls To Picasso” si fa dannatamente sul serio: l’atmosfera è cupa e aggressiva, come se il cantante stesse cercando di esorcizzare tutta la negatività dell’ultimo periodo. Brani come come la lunga “Cyclops”, “Gods Of War” o “Hell No” non saranno accomunabili a quanto fatto dalla Vergine di Ferro, ma certamente non possono essere tacciati di eccessiva leggerezza, anzi. La qualità della scrittura è molto buona, anche se non ancora eccellente: si fanno apprezzare particolarmente la sentita ballad “Change Of Heart” e la dinamica “Sacred Cowboys”. Le vere perle dell’album, però, sono due: prima la dura e potente “Laughing In A Hiding Bush” (nella quale, curiosamente, compare tra gli autori Austin Dickison, figlio di Bruce e all’epoca appena un bambino, il quale aveva pronunciato la frase che dà il titolo alla canzone). La seconda, invece, è la celebre “Tears Of A Dragon”, meravigliosa ballata in cui Bruce sfodera una delle sue performance migliori, dando tutta l’anima e aprendosi al suo pubblico in un canto liberatorio. Sebbene con il tempo “Balls To Picasso” sia stato rivalutato, al momento dell’uscita l’accoglienza è piuttosto tiepida, con pubblico e critica non ancora pronti ad accettare la nuova direzione intrapresa dal cantante. Nonostante tutto, però, Bruce si sente rinnovato nello spirito grazie a quest’album: gli Iron Maiden sembrano acqua passata, ormai, ed è il momento di guardare avanti.