6.5
- Band: BRUCE DICKINSON
- Durata: 00:47:42
- Disponibile dal: 19/02/1996
- Etichetta:
- BMG
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I Tribe Of Gypsies, pur avendo contribuito in maniera sostanziale alla nascita di “Balls To Picasso”, non hanno in programma di diventare la backing band di Bruce Dickinson e il cantante si ritrova dunque a dover cercare dei nuovi compagni di avventura. Il primo ad essere coinvolto nel progetto è un giovane chitarrista, Alex Dickson, a cui poi si uniscono il bassista Chris Dale e un giovane batterista italiano di nome Alessandro Elena. Quest’ultimo, curiosamente troverà in Dickison un mentore, un insegnante di inglese, finendo per diventare protagonista di una folle B-Side, intitolata “I’m In A Band With An Italian Drummer”. Tra i quattro l’intesa è buona, nonostante la notevole differenza anagrafica tra Bruce e gli altri tre ragazzi: il gruppo, così, si mette subito al lavoro, iniziando a girare per l’America e l’Europa, promuovendo il materiale di “Balls To Picasso”. Nel 1995, però, arriva il momento di concentrarsi sul nuovo materiale e quella che sembrava essere semplicemente la band dell’ex cantante degli Iron Maiden, si trasforma in una nuova realtà: gli Skunkworks. L’idea di Dickinson, infatti, è quella di fare un passo indietro, liberandosi del peso del suo nome per ripartire da capo con questa nuova formazione, il cui nome deriva da un reparto di sviluppo della compagnia aerospaziale Lockheed Corporation. Per il nuovo album, Bruce chiama un produttore molto noto nel panorama di quegli anni, Jack Endino, che ha contribuito con il suo lavoro al successo di Soundgarden e Mudhoney. I tre musicisti passano le giornate al Great Linford Manor jammando e portando nuove idee, mentre Dickinson lavora sulle sue linee vocali. Da queste sessioni nascono una cospicua serie di canzoni che si allontanano ancora di più dal passato di Dickinson. I tre giovani musicisti hanno un bagaglio completamente diverso, inoltre siamo a metà degli anni ’90 e l’aria è ancora pregna delle atmosfere del grunge, che non saranno primarie in “Skunkworks”, ma comunque si insinuano ed echeggiano tra i solchi del disco. I giudizi sulla terza opera del cantante sono spesso estremi e molti ascoltatori lo considerano non solo il punto più basso della sua carriera, ma anche un disco da dimenticare in generale. Eppure “Skunkworks” non è affatto un lavoro da buttare: la band funziona, le canzoni sono di buona fattura e Dickinson ci mette come sempre l’anima. Certo, non abbiamo a che fare con l’episodio più fulgido della sua carriera: ad esempio non convince la scelta di una tracklist eccessivamente lunga, con brani per contro piuttosto corti che non riescono ad evolversi come dovrebbero. Colpiscono nel segno il singolo “Back From The Edge” ed “Inertia”, così come l’ottima “Faith” dove spicca il chitarrista Alex Dickson. Il pezzo più interessante, però, è la conclusiva “Strange Death In Paradise”, più riflessiva ed onirica. Non passa molto tempo, però, che qualcosa si rompe negli Skunkworks: da una parte Bruce Dickinson, dopo anni di lontananza, inizia a sentire il richiamo di sonorità più pesanti; dall’altra i tre musicisti si accorgono di avere poco in comune con il loro leader, finendo per formare una band parallela, i Sad Trick, dove dare sfogo alle loro pulsioni più funky. Il disco, che sarebbe dovuto essere pubblicato solo come Skunkworks, a seguito delle pressioni dell’etichetta, esce a nome di Bruce Dickinson e non si può definire esattamente un successo. Per fortuna, però, ci sono due amici, uno più recente e uno di vecchia data, che stanno per tornare nella vita di Dickinson per portarlo alla sua rinascita artistica.