BRUCE DICKINSON – The Chemical Wedding

Pubblicato il 13/09/1998 da
voto
9.0
  • Band: BRUCE DICKINSON
  • Durata: 00:55:05
  • Disponibile dal: 15/09/1998
  • Etichetta:
  • BMG

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Il successo di “Accident Of Birth” scongiura definitivamente l’ipotesi di un ritiro da parte di Dickinson che, anzi, si rimette subito al lavoro di buona lena per dare seguito a quanto di buono ascoltato finora. Squadra che vince, non si cambia: troviamo quindi ancora Roy Z ed Adrian Smith alle chitarre, aiutati dalla sezione ritmica di Eddie Casillas e Dave Ingraham. Ancora una volta il processo di scrittura è incentrato sull’accoppiata Dickinson / Roy Z, con qualche contributo di Adrian Smith, e il risultato di queste nuove sessioni non solo non perde un grammo di forza rispetto a quanto ascoltato un anno prima, ma addirittura aumenta il carico metallico sul piatto della bilancia. Da un punto di vista lirico Bruce trova l’ispirazione in un vecchio tomo enciclopedico che tratta il tema dell’alchimia nella storia dell’arte. In esso un artista compare frequentemente, sia per il suo lavoro di incisore che per la sua opera poetica: William Blake. Vissuto a cavallo tra il Diciottesimo e il Diciassettesimo secolo, Blake ha costituito una fonte di ispirazione notevole in campo heavy e il suo immaginario così vivido e visionario colpisce nel profondo una persona di cultura come Dickinson, che punteggia il nuovo album di citazioni, richiami diretti alla poetica di Blake, seduzioni esoteriche e rituali alchemici. Come ciliegina sulla torta, infine, Bruce chiama nientemeno che una leggenda come Arthur Brown a fare da ospite nel ruolo di narratore. Se già l’universo letterario e artistico creato da Dickinson risulta assolutamente affascinante, anche da un punto di vista musicale la qualità è semplicemente sensazionale. Innanzitutto i chitarristi sperimentano un setup particolare per le chitarre, prendendo la corda del Re di un basso e utilizzandola al posto del Mi nella chitarra elettrica, regolando l’accordatura di tutte le altre corde di conseguenza. Il risultato è un sound mostruoso, pesante, che Dickinson accomuna ad un molosso di cento chili pronto ad azzannare il padrone. I due chitarristi, però, non si fanno intimidire e mettono in musica una serie di canzoni strepitose, a partire dalla pachidermica “King In Crimson”, che colpisce l’ascoltatore allo stomaco senza pietà. “The Chemical Wedding” è un album tagliente, metallico e affilato, che mostra tante anime e sfumature: brani come “Book Of Thel” e “Trumpets Of Jericho” mostrano un Dickinson in forma splendida, capace di far completamente dimenticare le incertezze dell’artista che non sapeva bene che direzione prendere fuori dal suo vecchio mondo. La cattivissima “Killing Floor” e “Machine Man” riaccendono la magia della coppia Smith/Dickison, mentre “The Tower” convince per la sua vena melodica e il giro di basso trascinante. Anche quando i ritmi rallentano la qualità rimane spaventosamente elevata, come dimostrano due canzoni come “Gates Of Urizen” e “Jerusalem”. La prima, ispirata dalla figura di Urizen (una sorta di demiurgo divino nella mitologia di Blake), si dispiega tra chitarre arpeggiate e squarci elettrici; mentre la seconda mette in musica in maniera quasi letterale un breve componimento di Blake (“And Did Those Feet In Ancient Time”, pubblicata nel 1808 nella prefazione dell’opera “Milton”). Quest’ultima, nello specifico, si traduce in un bellissimo affresco pastorale dalle tinte folk che si sposa perfettamente con l’atmosfera bucolica espressa dal poema. Infine non possiamo non citare quelli che, forse, sono i due capolavori dell’album, ovvero “The Chemical Wedding” e “The Alchemist”. I due brani, strettamente legati tra loro sia da un punto di vista lirico che musicale, rappresentano alla perfezione il fascino dell’intera opera, grazie ad una scrittura originale e matura, capace di sublimare il processo alchemico perfetto, come una sorta di pietra filosofale che dona immortalità e tramuta in oro ciò che tocca. Non riusciamo davvero a trovare difetti in quest’opera di Bruce Dickinson che, con un inaspettato colpo di coda, passa dalla crisi più profonda al successo di critica e pubblico con un vero e proprio capolavoro. Legittimamente, qualcuno inizia a chiedersi se un ritorno di Dickinson negli Iron Maiden non potrebbe risollevare anche le sorti un po’ scricchiolanti della band heavy metal più amata del pianeta. Sarebbe da stupidi non farci un pensiero. E Steve Harris, come sappiamo, non è affatto uno stupido.

TRACKLIST

  1. King In Crimson
  2. Chemical Wedding
  3. The Tower
  4. Killing Floor
  5. Book Of Thel
  6. Gates Of Urizen
  7. Jerusalem
  8. Trumpets Of Jericho
  9. Machine Men
  10. The Alchemist
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