8.0
- Band: BULLET FOR MY VALENTINE
- Durata: 00:47:43
- Disponibile dal: 05/11/2021
- Etichetta:
- Spinefarm
Spotify:
Apple Music:
Finalmente. Dopo anni di sequel insipidi e cambi di direzione un po’ a casaccio, proprio quando iniziavamo a pensare che “The Poison” fosse stato una botta di culo ecco che i Bullet For My Valentine tornano con il loro miglior disco dai tempi del sopracitato esordio. Le prime avvisaglie le avevamo avute con il precedente “Gravity”, che pur accodandosi ai Bring Me The Horizon aveva quanto meno il merito di risalire la china, ma con questo settimo omonimo album la rinascita è definitivamente compiuta: senza rinnegare il passato (citato nel jukebox che funge da intro) il quartetto inglese mette un punto e riparte nel Mainstream Metal Gran Prix là dove li avevamo lasciati quindici anni fa, ovvero come la risposta inglese Trivium e Avenged Sevenfold. Non sappiamo quanto la nuova line-up abbia influito in questa metamorfosi – anche se possiamo dire con certezza che l’ex Pitchshifter Jason Bowld dietro le pelli non fa rimpiangere Moose, nel frattempo consolatosi con i suoi Kill The Lights – ma di sicuro la premiata coppia formata dal mastermind Matt Tuck e dal sodale Padge sembra aver ritrovato lo smalto di un tempo, confezionando una serie di pezzi tecnici e ficcanti al tempo stesso, se pur privi della patina emo d’inizio secolo (che sarebbe ormai anacronistica, vista l’età dei protagonisti). Il rinnovato sodalizio tra le due chitarre trova pieno sfoggio nelle varie “Parasite”, “Knives”, “No Happy Ever After” e “Paralysed”, farcite di soli e scream come non si sentiva da tempo; anche le soluzioni più abusate, come il giro di basso di “Can’t Escape The Waves”, i pattern ritmici di “Bastards” o i singalong di “Rainbow Veins”, funzionano alla grande e promettono sfracelli in sede live, dimensione ideale per una band da sempre abituata ai grandi palchi (dai Metallica al Download, in cui ormai sono di casa essendo prossimi alla doppia cifra per numero di partecipazioni). La chiusura con “Death By A Thousand Cuts” ribadisce il concetto: Matt Tuck non sarà il salvatore del metal né il re di Twitch, ma se si tratta di portare il metal nelle arene è ancora in grado di dire la sua.