7.0
- Band: BULLET FOR MY VALENTINE
- Durata: 00:42:12
- Disponibile dal: 29/06/2018
- Etichetta:
- Spinefarm
- Distributore: Universal
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Se il precedente “Venom” – trattato abbastanza severamente da chi scrive, anche se il giudizio di fondo resta lo stesso – ha avuto quanto meno il merito di invertire il trend negativo nella discografia dei Bullet For My Valentine, c’era una certa curiosità intorno al sesto album del quartetto gallese (fresco di una sezione ritmica completamente rinnovata), ancora legato nell’immaginario collettivo al ruolo di ‘promessa mancata’ nonostante le venti primavere trascorse dalla formazione della band.
Non sarà dunque “Gravity” a far guadagnare loro posti da headliner nei grandi festival estivi, ma di contro, sgomberato il campo da scomodi paragoni, l’ultima fatica di Matt Tuck e soci si presenta leggera e caleidoscopica come la farfalla in copertina, mescolando ritmiche ‘pestone ma non troppo’ e hook ‘melodici ma con stile’ con una naturalezza che non sentivamo da una decina d’anni a questa parte; aggiungiamoci un inedito contorno elettronico negli arrangiamenti ed il consueto comparto lirico ‘Odi et Amo 2.0’, ed ecco servito quello che potremmo definire come il migliore successore del pur irraggiungibile “The Poison”.
Peccato per un paio di ballad un po’ troppo melense (“The Very Last Time”, “Breathe Underwater”) che contribuiscono ad abbassare il giudizio finale, ma per il resto la tripletta iniziale (“Leap Of Faith”, “Over It”, “Letting You Go”) ha già il posto assicurato nella playlist Metal On The Beach, così come le varie “Not Dead Yet”, “Piece Of Me” e “Don’t Need You” hanno tutte le note in regola per compiacere tanto i vecchi emo-corer (che hanno ormai appeso la frangia al chiodo) quanto le nuove generazioni con lo screensaver degli Asking Alexandria o dei Blessthefall.
Il futuro del metal, o comunque si voglia chiamare il genere portato avanti dalle band mainstream emerse a cavallo del terzo millennio, non passà certo da qui, ma “Gravity” conferma il ritrovato stato di forma dei BFMV, in perfetto equilibrio tra il romanticismo neo-melodico di Matt Tuck e le pulsioni metalliche di Michael Paget.