7.5
- Band: BULLET
- Durata: 00:38:03
- Disponibile dal: 14/09/2012
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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Alla fine la colpa è sempre loro; degli AC/DC. La loro sempiterna grandezza, unitamente all’immortalità delle loro composizioni e alla simpatia generata, ha indotto folte schiere di musicisti nati negli anni di “Back In Back” a emularli piuttosto che cercare la propria strada musicale. E quindi puntualmente escono dischi di gruppi che preferiscono tributare invece che comporre, riarrangiare piuttosto che scrivere. E allora se questo delle volte può assurgere a evento episodico, come nel caso di “Back In Black” rifatto con voce death metal da quel fan che è Chris Barnes nei suoi Six Feet Under, si arriva, non tralasciando gli Airbourne – che essendo fratelli e australiani si sono sentiti forse in missione per conto di Dio nell’emulare la band più famosa del rock – ai Bullet, propagatori del verbo AC/DC in salsa heavy metal. Dag Hell Hoffer, cantante del gruppo che sembra fare il verso a Jack Black, è dotato di un’ugola possente e roca quanto la voce storica degli Accept, e con questa marchia col brand Bullet delle canzoni che musicalmente altro non sono che brani tributo. Intendiamoci: il motivo per cui il vostro recensore impazzisce per questi cinque svedesi è dovuto alla mancanza di energia dei gruppi storici nei loro ultimi lavori, fiacchezza per lop iù dovuta all’anagrafe. E allora ecco i surrogati, giovani e forti. Sebbene questo nuovo “Full Pull”, in sostanza identico ai precedenti lavori, non rimarrà nella vostra playlist come un classico, state certi che i momenti di puro fomento non saranno pochi. Spendiamo qualche parola sui brani migliori, quelli capaci di trascinarvi nel vortice del coinvolgimento, a cominciare dalla traccia che dà il nome al disco, primo brano raffica sotto i tre minuti. Si eleva il granitico midtempo “Rolling Home”, esempio di brano più articolato. E poi la velocità di “In The Heat”, un riff graffiante e via a tutta carica per poco più di due minuti in puro stile AC/DC. Dopo essersi esaltati sull’anthem “High On The Hog” (impossibile non smaniare nel ritornello, pura elettricità settantiana) c’è spazio ancora per un brano tritaossa quale “Rush Hour”. In generale, l’album trova il minutaggio giusto – proprio per non stufare con il plagio – e si lascia sempre e comunque ascoltare e apprezzare fra gli alti e bassi ovviamente presenti, trattandosi di un lavoro-clone in cui il concetto di ispirazione diventa veramente relativo. I puristi e i talebani, quelli per i quali l’unica musica originale è stata scritta decadi fa, passino pure oltre. Tutti gli altri drizzino le orecchie.