7.5
- Band: BULLET-PROOF
- Durata: 00:44:18
- Disponibile dal: 21/12/21
- Etichetta:
- Sleaszy Rider Records
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Che fine avevano fatto i Bullet-Proof? Dopo il primo incoraggiante vagito targato “De-Generation” del 2015, seguito dal dirompente “Forsaken One”, rilasciato due anni dopo, la thrash metal band italo-slovacca era attesa al varco con il fatidico terzo album, quello del “o la va o la spacca”. Un disco che, tuttavia, aveva accumulato più di un ritardo dovuto – insieme ai motivi ‘mondiali’ che tutti purtroppo conosciamo – ad alcuni inghippi avvenuti in sede di line-up. La ricerca di un secondo chitarrista, infatti, (ruolo rimasto instabile dopo la pubblicazione del secondo full-length) si era nel tempo complicata più del previsto, rovinando così i piani di Richard Hupka e compagni. Un problema che, alla fine, è stato risolto con un semplice salto all’indietro nel tempo, richiamando dal primo “De-Generation” l’amico Andrea Demasi, ex Skanners dove per due anni ricoprì il ruolo di bassista. Un ritorno che, visto il risultato finale del qui presente “Cell XIX” è parso più che azzeccato. Caratterizzato da quel mix passionale costruito su nomi quali Metallica, Megadeth e Testament, oltre ad una base di fondo plagiata sulle forme heavy classiche, la terza fatica dei Bullet-Proof, pubblicata ancora una volta dalla Sleaszy Records, porta con sé due importanti novità: da una parte, come detto, la prestazione dello stesso Demasi, autore di una serie di assoli intriganti e taglienti, in grado di donare più dinamicità ad ognuno dei brani; dall’altra una maggior rocciosità dell’intero impianto compositivo frutto, tra le altre cose, del momento storico in cui è stato inciso il disco. Robustezza musicale che va di pari passo con i temi affrontati nel corso dell’album, riassumibili in un forte attacco nei confronti della società, ingabbiata, intrappolata in una cella e telecomandata a destra e a manca senza nemmeno porsi la benché minima domanda di dove stia andando a finire.
Di qui dunque le due chitarre a sferzare riff e assoli in quantità industriale, di là una sezione ritmica solida e tambureggiante, guidata dal comparto più giovane della band (Federico Fontanari al basso e Lukas Hupka, figlio di Richard, alla batteria): elementi che, pur non ricercando chissà quale novità nel genere, sono riusciti a mettere in fila una decina di pezzi con i controcazzi, proponendo quella miscela aggressiva e melodica che già nel precedente “Forsaken One” aveva strappato più di un consenso. Si diceva dell’apporto di Demasi: la prova provata l’abbiamo nell’opener (vera) “Brainocide”, tanto fulminea quanto orecchiabile nello stacco refrain, è sicuramente una delle canzoni di maggior presa grazie ai suoi innesti funambolici e repentini che vanno a consolidare la capacità dei Bullet-Proof di creare più varianti all’interno di un unico pezzo. Discorso che si ripresenta nella ‘priestiana’ “Paralyzed”, dove i richiami all’immortale “Painkiller” sono più che evidenti; e così vale per “Cold Sigh”, la stessa titletrack e l’oscura “No Future”. E se la voce di Hupka senior riesce a tenere modulazioni accettabili lungo tutto il full-length, compresa la cover finale “All I Want” dei The Offspring, una nota dolente dobbiamo sollevarla in tema di produzione, meno impeccabile rispetto all’ultimo lavoro, con il suono della batteria talvolta appiattito tanto da non premiare a dovere l’operato di Hupka junior. Un dettaglio che va smussare l’ottimo ritorno sulle scene dei Bullet-Proof, nuovamente in azione con il loro thrash d’annata, rimescolato con la giusta freschezza d’intenti che li contraddistingue.