7.5
- Band: BUÑUEL
- Durata: 00:59:21
- Disponibile dal: 25/10/2024
- Etichetta:
- Overdrive Records
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C’è ben poca mansuetudine, per citare il titolo, nel nuovo lavoro dei Buñuel; ma se invece cercate uno sguardo straziato e diretto sul dolore della vita, allora ne troverete una manifestazione perfetta.
Confermata la formazione del precedente “Killers Like Us” – quindi con Andrea Lombardini a prendere definitivamente le redini delle quattro corde al posto di Capovilla – qui il combo italo-americano lascia ancora più spazio alle derive sperimentali made in California di cui il cantante Eugene Robinson è da sempre un pilastro; e ne sono riprova le numerose ospitate da Jacob Bannon dei Converge a Duane Denison dei Jesus Lizard.
Detto che, presumibilmente, molti dei brani dovevano aver già forma da tempo, la recente uscita di Robinson dagli Oxbow sembra quasi averlo spinto a fare dei Buñuel la sua casa madre, incrementando appunto il suo ruolo e la sua guida nell’impronta musicale della band, sempre più scevra di qualunque impronta ‘indie’ residua: non c’è ricerca melodica o alcun occhiolino all’ascoltatore, solo ondate di dolore e disperazione che si intersecano attorno ai monoliti oscuri della sezione ritmica, per poi esplodere nelle linee vocali straziate e nella chitarra spessa e acida insieme.
Nei tredici brani che compongono il disco ce n’è per tutti i gusti, e bastano i primi brani per rendersene conto: dal rumorismo noise di “Who Missed Me”, passando per la forma canzone diluita in gocce lisergiche e malate (“Drug Burn”), e via attraverso sprazzi più metal e in the face (“Class”, o più avanti l‘adrenalinica “High.Speed.Chase.”) cui seguono con naturalezza convulsioni cupe, da crooner malati e senza speranza. Una dimensione che trova forma perfetta nel finale di “A Room In Berlin”, una vera e propria allucinazione dalle parti di Julian Cope.
Prima, c’è persino spazio per momenti quasi jazz, ovviamente in forma molto personale (“A Killing On The Beach”), in un percorso musicale schizoide, eppure dotato di una sua assoluta coerenza.
I Bunuel, insomma, fanno sul serio. Non cercano di ammansire o consolare i loro ascoltatori: come l’omonimo regista, tirano rasoiate nelle pupille, in grado di colpire fino all’anima.