8.0
- Band: BUÑUEL
- Durata: 38:40
- Disponibile dal: 27/04/2018
- Etichetta:
- La Tempesta Dischi
- Distributore: Goodfellas
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Ci si lascia andare troppo spesso al (pre)giudizio sulla scarsa qualità di qualcosa che proviene da chi ha già un discreto successo, soprattutto nell’ambito della musica italiana più alla portata di tutti. Ci si lascia anche spesso colpire dal pregiudizio contiguo: storcere il naso quando si alzano le distorsioni e si trapassano i confini stabiliti di genere (un po’ quello che viene definito ‘pisciare fuori dal vaso’). Vero è altresì che, molte volte, alcune coincidenze e contingenze varie si affilano talmente bene da portare a qualcosa di veramente efficace e riuscito, che può a merito superare questi pregiudizi. In Italia il fenomeno Il Teatro degli Orrori ha sicuramente portato a sé l’attenzione di un pubblico diverso da quel noise-rock da cui si sono prese le mosse, unendosi più a quel filone di cantautorato alternativo (almeno per quanto riguarda la tradizione italiana) che contraddistingue per un certo merito la band di Pierpaolo Capovilla. Fatto è che, unito all’eclettico Xabier Iriondo (ora di nuovo negli Afterhours), paladino della sperimentazione chitarristica ma anche mina vagante, e al compagno del Teatro Franz Valente dietro le pelli, ci si abbina ancora una volta ad uno dei personaggi più autentici e sottovalutati che si siano mai visti dietro un microfono: Eugene S. Robinson. Ed è un bene, probabilmente, che un personaggio come Capovilla sia ritornato al rumore che aveva contraddistinto i suoi One Dimensional Man, appena usciti con un nuovo album (di cui è risultata più interessante la forma e la primordiale vitalità che il contenuto effettivo) e si siano rispolverate le carte del progetto Buñuel, ritornando ad un underground pulsante e ricucendosi una via in sordina, lontano da certi riflettori. Almeno per un supergruppo – sulla carta – come questo. “The Easy Way Out” segue il precedente “A Resting Place For Strangers” di soli due anni fa, che aveva sancito un qualcosa di veramente esterofilo nella tradizione del noise rock italiano, unendosi ai dettami di una band culto come gli Oxbow, riprendendo i (favoriti di Capovilla) Jesus Lizard e offrendo la controparte funambolica di eclettici musicisti italiani. Non è infatti molta la musica prodotta in Italia come “The Sanction”, dove la poesia purgatoriale di Robinson si unisce ai ruggiti metallici della coppia Iriondo-Capovilla, e poi si completa con un abbaiare selvaggio e teatrale, poi sussurrato in un’inquieta litania profana. “Boys To Men”, poi, sembra quasi una dichiarazione, posta come introduzione, per un qualcosa che c’era bisogno di tornare a sentire. Valente e Capovilla reggono un groove imponente, seppur mai ricercato direttamente nelle sghembe partiture frenetiche e ipocondriache dei dettami basici del post-core/noise. Il crooning di Robinson, contrappuntato da un miagolio in falsetto, appoggiato su un andamento doom-sludge, caustico e incombente, risultato di gusto e giuste intenzioni, oltre che di estro creativo. “The Roll” è un altro macigno post-hardcore impervio, una fustigazione che passa attraverso tastiere à la Goblin e poi si immette in “Augur”, dove lo spettro di Tom Waits aleggia nella voce di Robinson e nel feedback di Iriondo, in una sorta di blues da anni Sessanta ma rigenerato dalla rumoristica contemporanea. C’è dell’ottimo materiale in questo secondo lavoro dei Buñuel, ma ancora di più c’è la spinta e la volontà di tornare ad alzare i gain degli amplificatori di questo paese, anche a certi piani alti. Non tanto per il gusto di farlo, o per esigenza specifica. Probabilmente perché – dopo tutto – gente che è lì sui palchi con i più affermati gruppi rock italiani ha forse qualche cartuccia ancora in serbo per chi sa ascoltare. Che questo sia un segnale importante è quasi indubbio. Che sia un altro bel disco di gente che ci sa fare: probabilmente. E se viene solo considerato posa è perché probabilmente si è smesso di ascoltare musica in maniera genuina.