6.5
- Band: BURIAN
- Durata: 00:36:43
- Disponibile dal: 27/10/2013
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Burian è un progetto black metal proveniente da Latina, e “Rancore” è il primo vagito licenziato dal combo laziale, cinque tracce di black metal tradizionale regresso, emaciato e insolente come non mai, proprio come quello che all’alba degli anni Novanta sbucò dalla Scandinavia per mano dei Mayhem di “Deathcrush”, di Burzum, dei Darkthrone e dei Bathory. Scorie di thrash e punk primordiale registrate con la massima etica lo-fi e filtrate attraverso una lente stilistica avvilente, famelica, maligna e completamente votata al vomitare di nozioni blasfeme, anti-religiose (“il cristianesimo è solo una grande menzogna”, recita il finale di “La Grande Menzogna”, appunto) e altre nozioni simili che si vedono un po’ ovunque nel genere da decenni ormai, fin dalle origini anzi, in verità senza destare grossi stupori o spiazzare più di tanto sotto l’aspetto concettuale. I suoni e lo stile sono anch’essi completamente in linea con quanto s’è visto negli ultimi vent’anni venir fuori dalla Scandinavia e non solo: tremolo picking gelido e tagliente a valanga, doppio pedale onnipresente, blast beat immanenti come fossero dogmi irremovibili, basso gelido e regresso messo totalmente in disparte, solito mid-tempo doomy, avvilito e comatoso che si fa vivo a intervalli regolari, e voci da morto che cammina con tanto di gracchio maligno dalle ottave alquanto elevate assolutamente irrinunciabile, come anche irrinunciabile pare essere il corpse paint, e i vari altri accorgimenti d’immagine irrinunciabili del caso messi in mostra dai Nostri (spunzoni, borchie, pelle nera, eccetera). Insomma siamo nel campo del citazionismo più puro anche se non senza cognizione di causa, poiché i Nostri delle canzoni black metal come le si facevano un tempo le sanno scrivere e suonare, eccome, anche non senza personalità, anzi. L’unica vera tegola in testa per i Nostri sono le voci del cantante assolutamente troppo elevate e invadenti nel mix, un “cantato” italiano che mal si sposa con il genere se non approcciato con attenzione e ponderazione, nonché delle timbriche che esagerano tantissimo lo stile facendolo sconfinare quasi nel parossismo. “Rancore” è un lavoro insomma che, pur nella sua genuina competenza, nella sua inappuntabile onestà e nella sua dignitosissima fedeltà alla tradizione, stenta a trovare un ruolo di spicco o a brillare per originalità e fascino all’interno di un genere ormai vastissimo, inflazionatissimo e in cui la concorrenza appare davvero spietata.