8.0
- Band: BYZANTINE
- Durata: 00:44:43
- Disponibile dal: 26/02/2013
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La storia degli americani Byzantine si era bruscamente interrotta cinque anni fa, nel 2008, quando, all’alba dell’uscita del terzo lavoro, il meno ispirato “Oblivion Beckons”, la formazione della West Virginia scelse di sciogliersi. Nessun dramma intercorso, nessun evento particolare, bensì la semplice consapevolezza di non ‘funzionare’ più come band. Passa qualche anno e Tony Rohrbough, chitarra solista e principale compositore dei Nostri, si rifà vivo presso i suoi compari e riforma il gruppo. Ma è questione di poco: solo qualche concerto, un paio di festival e i Byzantine spariscono di nuovo. Va bene, ma quindi ora? Cosa succede, vi chiederete voi, no? Ebbene, Tony è di nuovo in palla e, dal nulla totale, eccolo ripresentarsi con la sua creatura e tutti i suoi pezzi al posto giusto: Matt Wolfe dietro le pelli, Michael ‘Skip’ Cromer al basso e il temibile Chris ‘OJ’ Ojeda – riapparso al via con una lunga barba bianco platino da far impallidire il più cafone dei Kerry King! – alla voce e alla chitarra ritmica. Ma soprattutto, ecco il vero inghippo, con un disco nuovo di pacca e di una bellezza strabiliante, piccolo raccoglitore di nove sinfonie di thrash metal progressivo che abbracciano davvero qualsiasi inclinazione si voglia dare a questo genere. Atmosfera, tecnica, fantasia, potenza, melodia, aggressività, orecchiabilità, complessità: niente da fare, ovunque volgiate le vostre orecchie – magari per trovare un punto debole di questo lavoro, una lieve mancanza che ne pregiudichi un po’ le entusiastiche sorti – vi troverete di fronte ad un muro possente d’abilità e capacità compositive molto sopra la media, fra l’altro già ben messe in evidenza nei primi e ottimi dischi, “The Fundamental Component” e “And They Shall Take Up Serpents”. Noi vi consigliamo semplicemente di andarvi immediatamente ad ascoltare uno di questi tre brani: “Signal Path”; “Which Light Shall Never Penetrate”; “Soul Eraser” (per il quale gira in rete un bel video); e poi vi sfidiamo, se amanti del metallo a tutto tondo senza pregiudizi di (sotto)genere, a non sentirvi coinvolti dal ritorno in pista del combo di Charleston! Il riffing di Rohrbough e Ojeda è terrificante e prende spunto da una miriade di derivazioni, dalla Bay Area ai Pantera, dal modern metal al metal-core, dai Machine Head al classico US thrash à la Iced Earth, dai Lamb Of God agli Into Eternity, dai Meshuggah ai virgulti djent, restando comunque fresco, genuino e sorprendentemente peculiare. Le atmosfere richiamano le terre boscose e zeppe di miniere, quindi decisamente campagnole, della loro terra natia e, in questo senso, il paragone con dei Nevermore più contadini e meno depressi è azzeccato. Chris è diventato padronissimo dei suoi molteplici timbri vocali e li sfodera con esemplare maestria, quasi al limite dell’irriverenza. L’inventiva che pervade questo lavoro omonimo, infine, e che passa attraverso sezioni arpeggiate, break acustici, spunti tribali, assoli di basso e virtuosismi assortiti, toccate e fughe di tastiere e quant’altro, è solo il vigoroso tocco finale ad un album che si proietta certamente tra i finora meglio dischi – non solo in campo thrash metal – del 2013. Da avere subito! E però anche da cercare, dato che “Byzantine” si tratta inspiegabilmente di un’autoproduzione. Reunion dell’anno, altro che vecchi attaccati ai soldi e al cadreghino, come si dice a Milano!