6.5
- Band: CADAVER SHRINE
- Durata: 00:39:04
- Disponibile dal: 10/02/2023
- Etichetta:
- Chaos Records
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Cadaver Shrine è l’ennesimo progetto solista di Maurice de Jong, musicista olandese che l’etichetta definisce ‘sconvolgentemente prolifico’, e a ragione: abbiamo contato almeno venti suoi progetti attivi, che coprono idealmente tutto l’arco del metal estremo, dal doom-death melodico al noise-black sperimentale, passando per più o meno tutte le declinazioni intermedie. De Jong, detto ‘Mories’, non è quindi un novellino della scena estrema, anzi, i suoi primi lavori in formato demo risalirebbero addirittura ai primi anni ‘90. Nella miriade di moniker che fanno capo alla sua persona, quello più conosciuto è sicuramente Gnaw Their Tongues, incarnazione collocabile a cavallo tra tra black metal e industrial/noise: sperimentazione ed estremismo sonoro, concettuale e tematico, questi gli ingredienti del progetto, e più in generale della produzione targata de Jong.
In contrasto con tanta truculenza, depravazione e disperazione, l’immagine pacifica e sorridente di Mories, un ragazzone vicino ai cinquant’anni con capelli corti, occhiali dalla montatura leggere e felpa. Suo intento dichiarato è scavare nella parte più oscura e inconfessabile dell’animo umano e trasporla sotto forma sonora, nelle svariate modalità che abbiamo descritto.
Nello specifico, con Cadaver Shrine propone un death-doom sepolcrale, grasso e piuttosto monolitico. Questo primo album arriva dopo un demo di tre pezzi reso disponibile nell’autunno dello scorso anno, che anticipa le sonorità sviluppate nel disco, con la sola differenza di una produzione (un po’) ripulita e precisa in occasione del debutto su lunga distanza.
La voce è un growl gutturale impastato e raschiante, piuttosto monocorde ma perfettamente in linea con i canoni del genere, con la sola eccezione di qualche sprazzo di vocalizzi alti, vicini allo scream, nel brano di apertura “The Reverberation”. Musicalmente, il disco si concentra – com’è lecito immaginare – sulla pesantezza del death metal unito alla lentezza del doom, un connubio mortifero che non ha certo bisogno di presentazioni. Il musicista olandese non trascura però l’aspetto melodico, che anzi è molto ben curato e rivela scelte pregevoli, anche se certamente non originali. In alcuni frangenti questo blocco death-doom lascia intravedere uno spiraglio, è il caso di “The Black Door”, un pezzo ritmato che si distacca un pochino dalla struttura abbastanza simile del resto delle composizioni, che semplicemente mescolano death e doom metal in proporzione leggermente diverse, mantenendo intatti tutti i cliché del caso (se la title-track appare maggiormente death-oriented, una “Dragged Away” – il pezzo migliore del lotto – ha evidentemente molti punti di contatto con il funeral doom).
Non presentando particolari picchi in alcun senso, “Benighted Desecration” è quello che potremmo definire un lavoro ben fatto, ma tutto sommato superfluo: un ascolto consigliato ai fan irriducibili del genere e a chi segue Mories nelle sue molteplici avventure discografiche ed incarnazioni musicali. Gli altri farebbero meglio e guardare verso realtà più solide e personali.