7.0
- Band: CADAVER
- Durata: 00:42:36
- Disponibile dal: 21/07/2023
- Etichetta:
- Nuclear Blast
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L’ultima incarnazione dei Cadaver, quella formata dal leader Anders Odden e dal tentacolare Dirk Verbeuren, già batterista alla corte di Dave Mustaine, si riaffaccia sul mercato a tre anni di distanza dal precedente “Edder & Bile”, comeback album arrivato dopo uno stop lunghissimo e – di fatto – mai promosso dal vivo a causa delle ormai note vicende legate alla pandemia (un tour europeo con gli Atheist, posticipato più volte, ha finito per essere cancellato definitivamente nel gennaio 2022). Come tanti altri colleghi, il cantante/chitarrista norvegese ha quindi deciso di non starsene con le mani in mano e di fare di necessità virtù, sfruttando lo stop obbligato per confezionare un nuovo capitolo in tempi relativamente brevi e per dare continuità ad una saga che, dal suo avvio nel lontano 1988, è davvero proseguita a spizzichi e bocconi, tra scioglimenti, reunion sotto monicker rivisitati (la parentesi Cadaver Inc.) e un interesse altalenante da parte del pubblico e della critica.
Giocata la carta della linearità con il suddetto lavoro del 2020, il cui contenuto affondava le radici in un death/thrash ruspante e mordace, le cose cambiano qui parzialmente la loro prospettiva, mostrandoci i Cadaver in una veste più acida e ‘ad ampio spettro’ per un ascolto in grado di spingersi oltre i soliti riferimenti a Possessed, Carcass, primi Death e Darkthrone (di “Soulside Journey”); un carosello orrorifico in qualche modo già intuibile dando un’occhiata alla copertina, e che in virtù del suo approccio ora stralunato, ora sornione non tarda a dire la sua e a configurarsi come un’opera più longeva e accattivante di “Edder…”. Odden, musicista da sempre onnivoro e difficilmente inquadrabile sotto la sfera di influenza di questo o quel genere (non dimentichiamoci il suo contributo alla causa dei Satyricon o dei Mayhem del discusso “Grand Declaration of War”), sembra qui volgere lo sguardo alle dissonanze e al mix di suoni e strutture non convenzionali dei Voivod o di certo avantgarde dei fiordi, innestando la psichedelia su un impianto che continua invece a rifarsi a formule death e proto-grind a cavallo tra anni Ottanta e Novanta.
L’amalgama, fin dall’intro di “Sycophants Swings” e dell’opener effettiva “Postapocalyptic Grinding”, funziona, con un guitar work aggressivo, impattante, ma al contempo ricco di avvitamenti, interferenze melodiche e stratificazioni che conferiscono all’insieme un taglio curiosamente espansivo, a sua volta rinvigorito dalle puntualissime ripartenze di Verbeuren dietro i tamburi. La tracklist è di quelle corpose, e alcuni episodi vantano riff e passaggi effettivamente più a fuoco di altri, ma quando la band ingrana la marcia giusta – l’atmosferica e controllata “The Drowning Man”, le pimpanti “The Sicker, the Better” e “Deadly Metal” – “The Age of the Offended” si fa davvero apprezzare, mostrandoci una band a suo modo intraprendente e curiosa di esplorare nuove nicchie espressive. Ascolto interessante.