7.5
- Band: CADAVERIA
- Durata: 00:53:32
- Disponibile dal: 27/05/2022
- Etichetta:
- Time To Kill Records
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Sesto album per i Cadaveria, traguardo importante anche per il contesto che vede la cantante, appunto Cadaveria (al secolo Raffaella Rivarolo), ritornare al microfono del progetto dopo una drammatica lotta contro un cancro al seno da cui è uscita vincitrice e pronta a riprendere le redini del progetto che porta il suo nome. Un sesto album pregno di contenuti e davvero ben riuscito, che si fa ascoltare con piacere e che ci mette poco a entrare nelle corde dell’ascoltatore. Il genere di riferimento resta un black metal con derivazioni melodiche che lambiscono territori prettamente heavy metal e gothic, il tutto sotto l’egida di un ‘horror metal’, così definito dalla band, che anche nell’esecuzione dei dodici brani presentati riesce a toccare le varie anime del suono dei Cadaveria senza risultare scostante o mediato da chissà quale pensiero volto ad accontentare. Anzi, il sound del power trio (che vede Marcelo Santos – aka Flegias – e Peter Dayton, rispettivamente a batteria e basso) è ben concentrato nella propria formula che spazia tanto dal black anni ‘90 (gli autori, del resto, bazzicano l’estremo sin da quando “A Blaze In The Northern Sky” veniva dato alle stampe…) a un heavy black che ricorda almeno strumentalmente i Mercyful Fate, e una componente dark che ammanta le canzoni. A fare la voce grossa, perdonerete il calembour, è proprio Cadaveria, capace come sempre di spaziare tra un veemente scream a melodicissime linee pulite, capaci di marchiare di personalità brani comunque più che godibili, ma che magari perderebbero qualcosa in riconoscibilità con un cantante meno carismatico. “Emptiness” dunque ci fa godere aperture melodiche che rimangono ben stampate nella mente, condite da rallentamenti estremamente evocativi (come in “The Woman Who Fell To Earth”, “Divination”, o anche la title-track, con un ritornello davvero notevole), quando non si spinge invece l’acceleratore verso un black vecchia scuola, non particolarmente innovativo ma decisamente in grado di lasciare il segno (“The Cure” ha dei momenti da far gelare il sangue nelle vene). Insomma, un ritorno decisamente gradito e che conferma una forma smagliante, e che in generale suona come quei dischi che, senza dover per forza dover stupire con qualche stranezza o estremismo parossistico, riescono a farsi piacere molto velocemente e a far passare una buona cinquantina di minuti.