7.0
- Band: CALIBAN
- Durata: 00:52:11
- Disponibile dal: 25/04/2025
- Etichetta:
- Century Media Records
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I Caliban sono “Back From Hell”, e direttamente dall’inferno ci propinano un artwork che è una sintesi delle atroci capacità artistiche dell’IA: simmetrie forzate, anatomie innaturali, caoticità, assenza di gerarchia visiva e di intenzione artistica… per introdurre quello che dovrebbe essere un ritorno in grande stile, insomma, la band di Essen sembra mettercela davvero tutta per respingere l’ascoltatore fin dalla copertina.
I tedeschi sono stati senza dubbio tra i pionieri del metalcore melodico in Europa, con una costanza invidiabile che ha permesso loro di mantenere una traiettoria positiva nonostante delle deviazioni verso un sound moderno (come molti colleghi, la band ha intrapreso il sentiero dei Bring Me The Horizon in maniera poco originale) che non hanno però soddisfatto parte della fan base storica.
L’intenzione, in questo progetto, è chiaramente quella di dare un colpo di spugna e tornare ai fasti del periodo 2003-2007, durante il quale, in contemporanea coi mostri d’oltreoceano, i Caliban facevano del gran bel metalcore melodico sulla scia di As I Lay Dying, Killswitch Engage e compagnia. Le note biografiche citano un “team creativo” che ha lavorato con la band, formato dal produttore Buster Odeholm (Vildhjarta, Thrown, Humanity’s Last Breath) dal collaboratore di lunga data Benjamin Richter insieme a Matthi (vocalist dei Nasty) e Nahuel Lozano (chitarrista dei Mental Cruelty): presumibilmente una serie di autori importanti che, insieme ad ospiti di Serie A – Jonny McBee dei The Browning, Joe ‘Bad’ Badolato dei Fit for an Autopsy e Lukas Nicolai dei Mental Cruelty – comporta un peso non indifferente nell’economia dell’album.
Dopo qualche ascolto dobbiamo dire che, artwork a parte, il risultato è davvero ben studiato: un po’ come avviene nell’ultimo disco degli As I Lay Dying il metalcore melodico ‘d’annata’ viene reso leggermente più heavy dalle influenze deathcore che presumibilmente arrivano dal chitarrista dei Mental Cuelty; così, la sulfurea “Guilt Trip”, la sincopata “I Was A Happy Kid Once” e “Dear Suffering” si appesantiscono e si inaspriscono arrivando in lidi mai raggiunti dai tedeschi e fornendo un sapore più contemporaneo rispetto agli stilemi ben codificati del genere.
I pezzi che ricadono nelle classiche strutture metalcore, e che puntano quindi ripercorrere i fasti dei dischi storici della band “Shadow Hearts” e “The Opposite from Within”, trovano riferimento principale sempre nella band di Lambesis ma godono dell’importante aggiunta alla line-up del bassista/cantante Iain Duncan, che va a padroneggiare i classici ritornelli melodici facendo decollare diversi brani nei classici voli di speranza, con un timbro personale, attraente e più mascolino rispetto a parecchi colleghi, con risultati immediatamente memorizzabili in tracce come “Overdrive” ed “Insomnia”.
In generale, la seconda parte del disco, forse per l’assenza di ospiti forse per la struttura più canonica delle canzoni, vira un po’ sul generico pur senza particolari tonfi a livello compositivo, lasciando la sensazione che un maggior lavoro di sintesi potrebbe giovare all’ascolto dell’intero disco in una sola sessione.
Sia a livello di scritture che a livello di produzione, “Back From Hell” è comunque un disco sopra le aspettative, che riesce nell’intento di far rivivere le sonorità che hanno portato i Caliban alla notorietà con un grande sforzo autoriale che attinge anche al di fuori della band stessa. Non andrà certo a scombinare gli equilibri della scena metalcore moderna – ormai drasticamente evoluta ed in mano a nomi diversi rispetto a vent’anni fa – ma è un manifesto della resistenza e della solidità di un gruppo che dopo una lunga carriera dimostra di poter ancora dire la sua.