7.5
- Band: CALIGULA'S HORSE
- Durata: 00:44:55
- Disponibile dal: 16/10/2015
- Etichetta:
- Inside Out
- Distributore: Universal
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Mettiamo subito in chiaro una cosa: gli australiani Caligula’s Horse non sono una band di novellini che suona prog con l’intento di mettere in mostra le proprie doti tecniche, o per far vedere quante terzine riescono a diteggiare in un secondo, piuttosto la loro essenza è tesa a colpire l’ascoltatore dritto al cuore, facendo leva sulle loro capacità di dar vita a bellissime melodie e brani logici, sensati e ascoltabili anche per un ascoltatore non particolarmente erudito di nozioni tecniche. Il termine progressive infatti, per definire una proposta musicale, può spaventare l’ascoltatore medio e indurre a pensare a gruppi di smanettoni che scrivono canzoni lunghissime e piene di assoli e intermezzi strumentali infiniti e soporiferi, ma non è il caso dei Nostri che, pur suonando progressive, si piazzano a metà strada tra molte, moltissime realtà musicali, anche molto diverse tra di loro e riescono a restare in una dimensione accessibile e, alla resa dei conti, personale. La proposta è davvero molto molto variegata nonché piena di sfaccettature e forse paragonarli a qualche altro gruppo non è nemmeno la cosa più giusta da fare, ma la verità è che ascoltando e riascoltando “Bloom” ci sono venuti in mente miriadi di band e allo stesso tempo nessuna in particolare. Già perché qua si passa molto tranquillamente dal prog rock classico alla Rush e Genesis ai più recenti Pain Of Salvation, Porcupine Tree, Shadow Gallery e magari anche ai più eterei Demians. Si toccano poi lidi più recenti alla Tesseract, Ne Obliviscaris, Karnivool, sfociando talvolta in digressioni simil pop (alla Muse, tanto per intenderci) finendo ad abbracciare addirittura composizioni cantautoriali portandoci alla mente addirittura un ‘certo’ Jeff Buckley. Non ci stupirebbe affatto però se qualcuno ci dicesse che di tutti i riferimenti che abbiamo menzionato poc’anzi, nemmeno uno è stato ravvisato durante l’ascolto del platter in questione, perché la proposta dei Caligula’s Horse è talmente totalizzante e onnicomprensiva, è talmente volta alla squisita ricerca della forma canzone che, alla fine, un sound del genere finisce per risultare molto personale e distinguibile e quindi non paragonabile. Una musica intelligente ma di cuore, composizioni fresche, e ispiratissime, terribilmente evocative e con un impatto coinvolgente, pochissimi tempi morti o momenti di noia, segnaliamo giusto un paio di passaggi non proprio a vuoto, ma nemmeno così memorabili come “Rust” o “Firelight” che passano in secondo piano quando vengono accostati a brani di assoluto valore. Un pezzo come “Daughter Of The Mountain”, ad esempio, contiene tutto ciò che, a parere di chi scrive, rende così affascinante il suono dei Caligula’s Horse: una bella fase ritmica, vagamente ‘djenty’, aperture melodiche abbaglianti, iridescenti e cangianti, un chorus talmente bello da far impallidire chi (sia nel panorama metal che non) per anni ha cercato di scriverne uno solo decente – senza però riuscirci – bei cambi di atmosfera e breve finestra per assolo senza inutili orpelli e lungaggini. Il consiglio quindi è quello di non lasciarsi assolutamente sfuggire questa uscita discografica che con ogni probabilità finirà di diritto nella nostra top ten di fine anno, e al contempo consigliamo di tenere i fari ben puntati su questa band: le capacità per scrivere grandi album sono dimostrate, i margini di miglioramento sono esponenziali, se consideriamo poi che questo è il loro terzo full length e che stiamo parlando di un gruppo in piena fase di maturità, le possibilità di vederli accostati ai grandi nomi della scena prog non sono poi così lontane, anzi.